Il ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta sta lavorando sulla questione dei dipendendi pubblici, cercando di capire come eliminare tutte quelle disfunzioni che portano il Paese ad esser fanalino di coda nella veloce e moderna realtà europea. Ne parliamo con Michel Martone, professore straordinario di Diritto del lavoro presso l´Università di Teramo e professore incaricato di Diritto del lavoro presso l´Università Luiss Guido Carli.
Professor Martone cosa ne pensa del “piano Brunetta”?
Si tratta di un provvedimento sacrosanto ma anche di difficile realizzazione perché da troppi anni nel nostro Paese c’è lassismo culturale e tolleranza diffusa nei confronti di certi fenomeni. Dobbiamo distinguere le “assenze per malattia” dallo “scarso rendimento”. Perché per quanto riguarda le assenze per malattia il problema principale è quello dei controlli: c’è un alto tasso di assenze per malattia non solo perché i dirigenti fin qui hanno utilizzato il loro potere disciplinare, ma anche, e soprattutto, perché i medici sono stati molto tolleranti. Rispetto alla tolleranza dei medici abbiamo due tipi di questioni. Anzitutto i medici delle strutture pubbliche: il ministro Brunetta ha detto che dovrà essere licenziato chi fa false dichiarazioni. Poi rimane il problema di tutti i medici delle strutture private, perché dipendono ancora dagli “Ordini” che sono sempre stati restii a sanzionare disciplinarmente questi comportamenti.
Quindi un controllo non solo per i dipendenti ma anche per i medici …
Certo. E l’idea è giusta. Ma affinché l’idea diventi effettiva e si riducano le assenze per malattia è giusto intervenire legislativamente ma bisognerà intervenire sia nei confronti dei lavoratori, sia nei confronti dei medici. È perché nel nostro Paese basta che uno ha 37.8 e il medico certifica che sei malato e ti dà quattro giorni di assenza per malattia. Dunque il problema è che bisogna iniziare a responsabilizzare.
Un esempio?
Gli steward di Alitalia tre anni fa si misero tutti in malattia lo stesso giorno perché gli avevano proibito di fare lo sciopero. Tutti avevano il certificato medico. Nei confronti di quei medici non si è fatto nulla. E invece bisogna agire anche nei confronti di quei medici, perché se il medico fa la dichiarazione è difficile sanzionare il lavoratore.
Però come si fa ad intervenire su una categoria come quella dei medici, quando la stessa è avvertita anche come una tutela per il lavoratore?
Per questo si devono fare giuste certificazioni. Il rischio è che se uno si prende una malattia e sta assente quaranta giorni, la gente dice: “Ecco un assenteista!”. Quando magari in questo caso la persona ha vissuto una malattia vera e grave.
Quindi per “responsabilizzazione” intende sia nei confronti del medico che del lavoratore …
Certo. Bisogna intervenire su entrambi i fronti: la responsabilità è del lavoratore che fa l’assenteista, ma anche del medico che gli fa il certificato. Per “medici” Brunetta ha già dichiarato che il riferimento è a quelli pubblici.
Ma come agire?
Va fatto un controllo intermedio. Nel senso che il primo medico accerta che il lavoratore sta male e lo certifica, dando ad esempio venti giorni. Dopodiché un secondo medico, nell’arco dei venti giorni, opera un secondo controllo: se questo dichiara che il lavoratore non è malato o è venuta meno la ragione della malattia, allora si può agire nei confronti del medico.
Di cosa si ha bisogno per portare avanti questo progetto?
Sicuramente di una rivoluzione culturale che va aiutata legislativamente. Bisogna iniziare a pensare che chi fa troppe assenze per malattia danneggia tutti i suoi colleghi e soprattutto i malati, gettando discredito su chi veramente ha una malattia.
Da dove cominciare questa rivoluzione?
Sicuramente si dovrà partire dalle leggi, dai contratti collettivi (che comunque vanno modificati per rendere operativa questa riforma perché sono questi che disciplinano i licenziamenti dei dipendenti pubblici e l’esercizio del potere disciplinare) e da misure apposite riguardanti i medici. I medici non possono dare certificati a chiunque glieli chieda.
Passiamo dalla malattia ad un altro grande “male” che affligge le “vittime” dei dipendenti pubblici. Su Ilsole24ore di oggi si parla anche di sanzioni ai lavoratori per scarso rendimento. In questo caso come si vuole procedere?
Anche qui cambiando le leggi, la contrattazione collettiva ma anche la cultura degli italiani. Brunetta si sta muovendo molto bene per realizzare questo grande mutamento culturale, anche se il vero problema diventa la misurazione dei risultati. Sarà interessante vedere quali sistemi di misurazione dei risultati adotterà Brunetta.
Secondo lei come si dovrebbe procedere?
Responsabilizzando i dirigenti degli uffici.
Come?
Dando il premio al dirigente misurando l’attività fatta dall’ufficio. Ad esempio: se tu sei il capo dell’ufficio e la tua funzione è fare i certificati, bisognerà vedere come fai i certificati e dare al dirigente maggiore discrezionalità rispetto ai suoi dipendenti. È lui che deve rispondere del risultato del suo ufficio ma è anche lui che deve avere il potere di far lavorare chi sta sotto di lui. Quindi maggiore responsabilità dei dirigenti ma anche maggiori poteri nei confronti dei dipendenti dei singoli uffici.
Sulla stampa di oggi si fa cenno, in riferimento a questo tema, anche alla finanziaria di Tremonti. Qual è il collegamento tra i due?
La finanziaria che ha proposto Tremonti è abbastanza leggera perché prevede 30 miliardi nell’arco di tre anni. Il problema è che si aspettano le risorse. Tremonti si aspetta di prendere le risorse da una razionalizzazione della spesa della pubblica amministrazione. Perché previdenza, dipendenti pubblici e sanità sono le tre voci che gravano maggiormente sul bilancio dello Stato. Tremonti ha grosse speranze nel “piano Brunetta”. Però ancora non ha chiarito “dove” andrà ad intervenire.
Guglielmo Epifani (Cgil) ha espresso dei timori. Perché?
Perché ha paura che Tremonti, per avere questi risparmi, proceda con “misure indiscriminate”. Il suo timore è sull’eventuale blocco di una misura risalente alla scorsa legislatura, che prevedeva i fondi per la stabilizzazione dei precari assunti alle dipendenze della pubblica amministrazione. Inoltre dietro il “piano Brunetta” c’è un’importantissima sfida ai sindacati: per rendere effettiva la riforma della publica amministrazione non basteranno le modifiche legislative. Servono le modifiche dei contratti collettivi che hanno procedure lente e farraginose per ciò che attiene i poteri disciplinari. Il sindacato è di fronte ad una grande sfida: o farsi motore dello sviluppo applicando i principi che aveva già accettato nel memorandum sulla pubblica amministrazione di due anni fa; oppure imboccherà una strada recessiva perché sarà d’ostacolo allo sviluppo del Paese.
E in questo modo ci sarà uno scollamento con la popolazione?
Assolutamente, sì. Il rischio è che la gente non voglia più saperne dei sindacati.
Lei che ne pensa della stabilizzazione dei precari?
Il blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione è scandalosa: veniamo da anni di blocco delle assunzioni e per far funzionare la pubblica amministrazione si ovviava prendendo i lavoratori precari. Le assunzioni nella pubblica amministrazione devono ricominciare ma tramite concorso non solo mediante stabilizzazioni come si faceva in precedenza.
Gli italiani sono stanchi delle parole. Vogliono i fatti. Secondo lei che tempi si possono prevedere per vedere questi risvolti pratici positivi di cui si parla?
Ci vorranno degli anni. Ci sono voluti anni per arrivare ad una tanto complicata situazione, così ci vorranno anni per uscirne. Basta con i progetti di breve termine, con la legislazione d’emergenza. C’è bisogno di riforme strutturali e culturali che inevitabilmente prenderanno tempo. È importante che il governo si sbrighi, ma è necessario che anche gli italiani si rimbocchino le maniche per iniziare a produrre quel cambiamento. A cominciare dalle assenze sul posto di lavoro che sono più alte che nel resto d’Europa.
È vero anche che in altri Paesi europei i lavoratori danno di più ma hanno anche di più …
Questa è un’interpretazione interessante. Bisogna però tener conto che gli stipendi degli italiani si sono abbassati negli ultimi dieci anni. Viceversa il male delle grandi assenze nasce nell’egualitarismo sessantottesco. Il problema è che gli italiani non venendo premiati in merito pensano: “Ma chi me lo fa fare a me di impegnarmi?”
Il “piano Brunetta” va comunque considerato come un primo passo nella rivoluzione culturale?
Come un primo passo per le riforme strutturali che dovrà esser molto più ampio. Quel che realmente serve è una rivoluzione culturale che cominci a premiare il merito e l’impegno. L’Italia è in una situazione drammatica: se non ci impegno tutti, compresi i sindacati, andrà sempre peggio.