Il messaggio più semplice, e in un certo senso più forte, della presentazione congiunta di due libri da parte del segretario di stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, “Essere mediterranei”, pubblicato dalla casa editrice Ancora e “Fratellanza”, pubblicato da La Civiltà Cattolica, sta proprio in questa scelta inusuale di parlare insieme di due lavori, per dire che per tenere unito il Mediterraneo, e non solo, bisogna rinunciare alla tentazione di non vederne le polarità, necessariamente opposte ma non contrapposte.
“Essere mediterranei” è un volume realizzato da La Civiltà Cattolica per illustrare le sfide che l’idea bergogliana di fratellanza incontra paese per paese, nell’oggi. Accademici e giornalisti, alcuni musulmani, altri cristiani, altri ancora “laici”, molti dei quali provenienti dai paesi in questione, cercano i fili di opportunità e sfide, problematiche e potenzialità, in un racconto che alla fine è un periplo del Mare Nostrum. “Fratellanza” è il lavoro, sempre a più mani, che aiuta invece alla comprensione di cosa significhi il documento firmato da papa Francesco e dall’imam dell’Università islamica di al-Azhar, Ahmad al-Tayyeb, in termini teologici, antropologici e sociali. Il primo aiuta a vedere come sia oggi frantumato il Mediterraneo, e perché: il secondo invece a rendersi conto, sempre con il contributo di punti di vista diversi, del grande passo in avanti compiuto un anno fa, il 4 febbraio 2019, ad Abu Dhabi. Il direttore de La Civiltà Cattolica, rivista che compie quest’anno 170 anni di vita, ha spiegato che offrire questi due strumenti è nel loro Dna offrire questi strumenti, perché chi si chiama Civiltà Cattolica non può non occuparsi di questioni di civiltà.
Il segretario di stato, cardinale Parolin, ha ricostruito il commino che i mondi che Francesco e al-Tayyeb rappresentano hanno compiuto per arrivare, insieme, ad Abu Dhabi. Dunque quello a loro è riuscito non è stato lo sforzo di due individui, ma l’approdo di un cammino cominciato con il Concilio Vaticano II, che ha posto le basi di un lavoro proseguito da Giovanni Paolo II, in particolare convocando il sinodo straordinario per il Libano. Svoltosi nel 1995, Parolin ha ricordato che quel sinodo è stato convocato già nel 1991 e che il papa volle coinvolgere nei lavori non soltanto tutte le comunità ecclesiali cristiane presenti in un paese che proprio allora usciva da una guerra civile durata tre lustri. Ma anche le comunità musulmane e quella drusa, perché se si trattava di ricostruire una società frantumata bisognava farlo tutti insieme.
È stato uno dei momenti più importanti di un discorso che ha spiegato come siano state poste le basi della prospettiva della comune e paritaria cittadinanza, presupposto e conseguenza di una vera fratellanza. Il segretario di Stato vaticano però ha voluto anche illustrare il cammino svolto dai musulmani, che se partono dalla Costituzione di Medina, attribuita a Maometto, che non discrimina per motivi di fede, hanno anche una tradizione secolare opposta, che da prima degli ottomani ha fatto delle “comunità religiose non musulmane” delle “minoranze protette”. Di qui il racconto parallelo delle iniziativa cattoliche e del lavoro di al-Azhar nei decenni: prima conoscersi, capirsi, poi contrastare il terrorismo e così progredire verso l’idea di comune e paritaria cittadinanza. Minuzioso, accorto, fedele, Parolin ha raccontato due cammini che non si sono mai stancati di progressi e incomprensioni, riconoscendo nella grande conferenza sulla cittadinanza tenutasi al Cairo sulla cittadinanza nel 2017 un momento così importante da aver fatto a molti patriarchi e leader cristiani d’Oriente di “svolta epocale”.
Il cardinale Parolin ha fatto capire a tutti l’enormità di un passaggio che archivia secoli di protezione delle minoranze dicendo cosa conteneva la dichiarazione di al-Azhar: “Nel primo articolo della Dichiarazione si parla di ‘eguali diritti di musulmani e cristiani nei loro paesi, considerandoli una umma/nazione’. L’articolo 6 afferma che l’ambizione è quella di promuovere un nuovo partenariato, ‘un nuovo contratto tra i cittadini di paesi arabi, musulmani, cristiani o di altra fedeltà’. Tale contratto è basato sul ‘reciproco riconoscimento, sulla cittadinanza e sulla libertà'”. Se prima di lui lo avessero documentato anche i mezzi di comunicazione il cammino sarebbe stato più spedito? No, ma forse sarebbe stato più capito nelle nostre società.
Come si capisce da questa citazione i percorsi ricostruiti da Parolin non sono serviti a indicare alunni e maestri, ma a riflettere anche sul pontificato di Benedetto XVI, erroneamente non considerato per il sinodo sul Medio Oriente svoltosi nel 2010, cioè alla vigilia del 2011 arabo. Quel sinodo durò giorni, ma il suo senso è riassunto in una parola, cittadinanza. Dunque ascoltando il segretario di stato vaticano è parso di capire che i popoli avevano fretta di conseguire quella cittadinanza che gli veniva negata e che la politica avrebbe seguitato a negargli anche dopo il 2011, con ferocia e l’ “appoggio esterno”, verrebbe da dire, dei terroristi.
Giunto a questo punto il segretario di stato è arrivato all’inatteso documento sulla fratellanza co-firmato da Francesco e lo sceicco dell’Università di al-Azhar, un testo che difficilmente può non essere capito come archiviazione di tutte quelle scuole o tendenza panislamiste o fondamentaliste che non riconoscono negli altri dei fratelli. Di questi pensiero entrato nel Mediterraneo sul finire degli anni Settanta Parolin ha colto l’essenza: “Il cosiddetto ‘islam politico’, fondato anche sull’idea che la giustizia sociale sarebbe arrivata con l’applicazione della sharia, la legge islamica”. Sembra voler dire che se un po’ di giustizia sociale fosse arrivata altrimenti, forse la forza di questo turbamento sarebbe stata minore.
Ma il segretario di stato non si è fermato qui, è entrato personalmente nel Mediterraneo frantumato, e le sue parole sono andate in particolare a tanti scenari di crisi, ma ha onestamente colpito il fatto che si sia fermato su una tragedia rimossa, quella del nord della Siria, dove 1milione e 300mila sfollati vive da mesi nelle privazioni più atroci ad Idlib. “In Siria permane altissima la preoccupazione per la tragedia umanitaria di Idlib che ha spinto il Santo Padre a scrivere al presidente Bashar Hafez Al-Assad una lettera che porta la data del 28 giugno scorso. Papa Francesco aveva già scritto al presidente nel dicembre del 2016 rivolgendo l’appello affinché fossero messi in salvo i civili intrappolati nella battaglia di Aleppo. Francesco ha nuovamente chiesto di fare tutto il possibile per fermare la catastrofe umanitaria, per la salvaguardia della popolazione inerme, in particolare dei più deboli, nel rispetto del Diritto umanitario internazionale. Nell’area di Idlib vivono più di 3 milioni di persone, di cui 1.3 milioni di sfollati interni, costretti dal lungo conflitto a trovare rifugio proprio in quella zona rimasta fuori dal controllo del governo. Nella sua lettera, il Santo Padre ha usato per ben tre volte la parola “riconciliazione”: questo è il suo obiettivo, per il bene di quel Paese e della sua popolazione inerme. Papa Francesco ha incoraggiato il Presidente siriano a compiere gesti significativi: ha citato, ad esempio, le condizioni per un rientro in sicurezza degli esuli e degli sfollati interni e per tutti coloro che vogliono far ritorno nel Paese dopo essere stati costretti ad abbandonarlo. Ha citato pure il rilascio dei detenuti e l’accesso per le famiglie alle informazioni sui loro cari.” Essere stati costretti ad abbandonarlo… Chi li ha respinti come buoi usciti dai loro recenti forse avrebbe fatto bene a rendersene conto: “Tutto quello di cui abbiamo parlato sin qui non poteva non avere conseguenze sulla sponda settentrionale del Mediterraneo, trovando, tuttavia, un’Europa impreparata a fronteggiare l’arrivo di milioni di profughi, poco consapevole e poco attiva, che ha lasciato deteriorare le crisi mediterranee. Ciò ha determinato, insieme alla deriva terrorista, tensioni gravide di conseguenze in Europa, come si è potuto constatare nel corso degli ultimi anni, e non solo nei Paesi che si affacciano direttamente sul Mediterraneo. In tale contesto, lo scetticismo di alcuni Paesi dell’Unione Europea in merito al processo di allargamento nei Balcani Occidentali rischia di aprire la strada ad ulteriori divisioni”.
In definitiva quello che aveva detto in apertura il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, è risultato non solo documentato, ma anche chiaro in tutta la sua urgenza: “La stabilità del Mediterraneo ha un impatto diretto sulla sicurezza dell’Italia e dell’Europa. Ma il Mediterraneo ha assunto anche una centralità globale. Pensiamo anche soltanto alla Via della Seta e alle sue implicazioni. Di che cosa c’è bisogno, dunque?Durante il viaggio di Papa Francesco in Marocco, il re Mohammed VI ha affermato: ‘Volutamente ci incontriamo qui tra Mediterraneo e Atlantico e a poca distanza tra Marocco e Siviglia, perché questo sia un punto di scambio e di comunicazione spirituale e culturale tra l’Africa e l’Europa’. Di questo oggi c’è bisogno nel Mediterraneo: di incontro, scambio e comunicazione spirituale. E, se parliamo di ‘scambio e comunicazione spirituale’ è impossibile parlare di Mediterraneo senza coinvolgere la riflessione e la spiritualità propria delle tre grandi religioni abramitiche e pure – tra i cristiani – senza accomunare nella riflessione Roma e Costantinopoli. La storia oltre che la geografia ce lo impedisce: si deve fare insieme”.