Confesso di non essere un cultore dei riti carnascialeschi. Un po’ perché, trattandosi di ricorrenze mobili e dilatate è difficile, appunto, rincorrerle e un po’ perché da bambino la maschera mi trovava del tutto indifferente ed anzi mi lasciava – nella versione clownesca- un retrogusto di tristezza, questa estraneità diffidente mi ha sempre impedito di orientarmi nell’argomento. Perciò, in mancanza di cognizioni dirette, mi sono documentato ed ho scoperto che il Carnevale 2020 comincia domenica 9 febbraio (domenica di Settuagesima), e finisce mercoledì 26 febbraio (mercoledì delle Ceneri, che segna anche l’inizio della Quaresima). Insomma: il periodo pagano per antonomasia viene scandito dal calendario cattolico.
Chiarito il punto mi domando: allora i cantanti mascherati in circolazione per la tv di Stato – quelli di Sanremo, quelli della Carlucci, ma, ci sarebbe da scommettere, si tratta solo dell’inizio di una tendenza – non erano lì per Carnevale ma per contratto e perché così, evidentemente, si fa più presenza e si colpisce l’immaginario morbido del pubblico!
Forse l’argomento non è da prendere sottogamba. Stiamo parlando della tv di Stato che svolge il servizio pubblico dell’informazione e della formazione. Anche dell’intrattenimento, purché tutto quello che fa si dimostri coerente con i principi della democrazia e del pluralismo, come da contratto di servizio.
Dunque la tv di Stato – peraltro finanziata da tutti i cittadini – si assume la responsabilità di quello che mette in circolazione. Responsabilità che diventa ancora più grande quando si tratta della rete ammiraglia, Rai 1, e del programma più visto dell’anno, Sanremo. Ora, trascurando per un momento di considerare il valore semiotico del rapper o del trapper de’ noaltri, tema che tuttavia dovrebbe interessare non poco per i testi adoperati e, nel caso di specie, anche per le ruvide polemiche recentemente accese per contenuti non proprio in linea coi modelli della political correctness, forse ci dovremmo porre il quesito se questo happening della mascherata, che, abbiamo appurato, non centra niente con i carri di Viareggio e di Putignano, rappresenti da parte della Rai una cosa appropriata oppure no.
La responsabilità del mezzo, si diceva: se la tv di Stato sdogana la maschera perché mai il suo pubblico, magari il segmento più fragile, che aggancia la moda senza particolari mediazioni culturali, non dovrebbe mascherarsi pure lui e andare in giro come il celebrato rapper Junior Cally o la mai sufficientemente lodata rapperessa Miss Keta? Ai quali ultimi andrebbe ricordato che secondo il vecchio Testo Unico sulle leggi di pubblica sicurezza (art.85) ancora in vigore, è vietato comparire in pubblico mascherati, divieto che prevede sanzioni rincarate da un provvedimento del 2005 (l.31 luglio2005, n.155), che addirittura comminano fino a due anni di carcere e una multa fino a 2000 euro (e qui bastano anche i caschi protettivi o qualunque altro mezzo che renda difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo).
La simbologia della maschera è carica, ovviamente, di ambiguità antica e colta. Basterebbe anche la sua rappresentazione più semplicistica di strumento di nascondimento dell’identità- di aspetto, sentimento, ruolo, di equilibrio- per maneggiarla con cura. Ma c’è nelle antiche credenze rappresentate in qualche narrazione orrorifica, il daimon della maschera che si impadronisce del mascherato. Ti può andare bene se si tratta di un innocuo cucciolone adiposo come quello del cantante mascherato dello show carlucciano. Ma vuoi mettere che disgrazia se finisci col daimon del rapper?