Garantire la libertà d´informazione e assicurarsi utili in bilancio: non è facile riuscire in entrambi gli obiettivi. Eppure questo dovrebbe essere il mestiere dell´editore. Dovrebbe, perché nella realtà italiana è tutto – come al solito – più complesso. Ad accendere un faro su questo tema, è stato un editore “puro”, Pippo Marra dell´Adn Kronos. Il suo è stato anche uno sfogo non immotivato nei confronti dei suoi colleghi che hanno un minore grado di purezza, ovvero che hanno altri interessi economici da quelli editoriali. Le sue parole hanno innescato un gran dibattito anche perché informazione è potere e chi governa la prima più facilmente controlla il secondo. Se poi il presidente del Consiglio è un editore va da se che la politica abbia voglia di interrogarsi su questo legame. Come spesso accade però è il dettaglio a prevalere sulla sostanza e se Marra parla della nuova stagione dell´impresa dei media è sul ruolo dell´editore (puro o impuro) che si concentra l´attenzione politica.
Le dimensioni stesse del business multimediale costringono a rivedere le forme e i contenuti delle aziende: questo dice Marra e su questo non si può che concordare. Per questa stessa ragione, prosegue, l´editore non potrà che essere in futuro sempre più editore puro: sarà un´attività che necessiterà di un impegno totalizzante, di essere per forza core business. Insomma, nei prossimi anni lo stereotipo sarà molto più quello di Murdoch che quello del patto di sindacato in Rcs. Ed è forse pensando al grande gruppo milanese che Marra ha scelto di parlare di “meticciati industriali” come alternativa all´imprenditore ´puro´. E veniamo quindi al punto: l´editore puro è quello che si occupa solo di media oppure può essere considerato puro anche chi pur avendo il pieno controllo di una testata ha trasparentemente interessi in altri settori economici? I commenti dei politici hanno teso a privilegiare la prima interpretazione. In realtà dovrebbe valere anche la seconda. Se di un giornale o una tv sappiamo chi è l´editore e sappiamo quali altri interessi coltiva questo editore, possiamo conoscere il suo conflitto d´interessi e decidere se merita la nostra fiducia. Se di un quotidiano come il Corriere della Sera non sappiamo chi è l´editore (se non quel “meticciato industriale”), faremo più fatica a scovare le contraddizioni.
In ogni caso, anche per i media vale la regola del mercato e chi ha più da tessere, tesserà. Perché però questo mercato cresca e vada nella direzione indicata da Marra è necessario che la politica faccia la sua parte. Perché, purtroppo, da troppi anni lo Stato italiano immette nel sistema la droga dell´assistenzialismo. Adesso che siamo arrivati al limite dell´overdose occorre fermarsi e voltare pagina. Gli editori, quelli puri e quelli impuri, dovrebbero convergere che gli aiuti che li tengono in vita quotidianamente gli sottraggono futuro. Nel nostro Paese ci sono troppi giornali, troppe iniziative editoriali: le edicole sono trasbordanti di prodotti che peraltro non si vendono. Chi vuol fare l´editore non ha bisogno di continuare così. Per questo, suggerisco di superare le polemiche interpretative e definire “puro” solo l´editore che vorrà dire basta al finanziamento pubblico.
Il Tempo, 27 giugno del 2008