“Occorre avere paura quando tutti sono troppo ottimisti, mentre bisogna essere ottimisti quando gli altri hanno paura”. La massima del guru americano Warren Buffet è affascinante e non infondata. Se vale per chi opera in Borsa non è detto che sia altrettanto valida per chi ha responsabilità di governo.
Una politica prigioniera di sentimenti come l’ottimismo o il pessimismo finisce per produrre i risultati terribili che abbiamo visto in questi mesi. Essendo alle porte una crisi economica ben più grave di quella finanziaria sarà bene tenere i nervi saldi. Sin da ora si annuncia una recessione che investirà il mondo produttivo italiano ed occidentale per tutto il 2009. Le aziende si troveranno ad affrontare le conseguenze – razionali e non – del calo dei consumi, della inevitabile stretta finanziaria e del sentimento di sfiducia per il futuro. A ciò bisognerà aggiungere gli effetti di una paradossale politica europea che ha sostenuto l’allargamento del commercio internazionale consentendo il fenomeno della delocalizzazione e dell’autoflagellazione con normative unilateralmente anti-industriali nei settori dell’ambiente e del diritto del lavoro. Se in periodi relativamente floridi le economie del vecchio Continente crescevano pochissimo proprio per queste ragioni, figurarsi come sarà in salita la strada che passa per il sentiero della recessione.
Cosa faranno ora i governi? Il neo premio nobel per l’economia, Krugman, ha già messo le mani avanti: il nuovo presidente Usa dovrà allargare i cordoni della borsa per salvare le corporation. In Europa ci si accinge a mettere in soffitta i veti contro gli aiuti degli Stati ed anche (forse) i vincoli di Maastricht. In Italia, comprensibilmente, il governo è pronto a sfruttare tutti i varchi che la Ue aprirà. Già si parla di un piano che prevede la garanzia dello Stato per le imprese in crisi. Una buona idea ma da maneggiare con grande attenzione. Per esempio, l’idea – circolata in modo esplicito nelle scorse settimane – di continuare a rimpinguare le casse delle aziende automobilistiche italiane appare semplicemente irritante.
La crisi economica rappresenta l’occasione per mettere mano alle riforme che servono alla competitività delle imprese, a partire dalle leggi sul lavoro. Superare i veti del sindacato e delle lobby vetero-ambientaliste (benissimo il governo sul pacchetto ambientale europeo 20-20-20) oggi si può e si deve. Il dibattito sullo Stato interventista o lassista (nel senso del laissez faire) è inutile come la divisione fra ottimisti e pessimisti. Essere consapevole per lo Stato significa saper essere regolatore. Ecco perchè non ci servono bravi economisti ma eccellenti politici. Speriamo che la necessità porti la virtù.