È qualcosa di più di un semplice riassunto la relazione annuale sulla sicurezza presentata questa mattina a Palazzo Chigi dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal direttore del Dis (Dipartimento per l’informazione e la sicurezza) Gennaro Vecchione. L’assesment sui rischi alla sicurezza del Paese stilato dai Servizi italiani può diventare, con le dovute precauzioni, una road map per il governo da una parte e il legislatore dall’altra. Ne è convinto Enrico Borghi, parlamentare del Pd e membro del Copasir (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che nel doppio ruolo di deputato ed esponente dell’organo di controllo ha fatto con Formiche.net un primo bilancio della relazione.
Borghi, qualcuno in politica darà seguito a questa analisi o rimarrà sulla carta?
Sarebbe un grave errore ignorarla. Stiamo vivendo un momento di profonda trasformazione, in cui si stanno riscrivendo gli assetti di potere di importanti settori, dal trattamento dei dati all’energia e l’immigrazione. Su questi fronti il Paese deve avere in mano il timone della sicurezza nazionale.
Partiamo da un fronte che tocca da vicino l’Italia: la Libia. L’intelligence immagina un’“azione a tutto tondo” per difendere gli interessi italiani nel Paese. In concreto, parliamo di una missione?
Prima di una missione bisogna creare le condizioni sul campo, sulla scia della tabella di marcia decisa a Berlino. Un modello da prendere a riferimento, anche se rientra nel quadro Onu, è la missione Unifil in Libano.
Cosa prevede, per l’Italia e l’Ue, questa tabella di marcia?
La prima cosa da fare è accantonare due approcci. Da una parte le iniziative unilaterali che, la Francia lo ha capito, non portano da nessuna parte. Dall’altra l’idea di ripristinare un assetto colonialista di stampo ottocentesco, separando la Tripolitania dalla Cirenaica e dividendo il Paese in sfere di influenza.
Poi?
Punto primo: stabilizzare il teatro con una forza di interposizione internazionale che permetta la ricostituzione del sistema statuale ed emargini i signori della guerra. Secondo: far rispettare davvero l’embargo di armi, e in questo può avere un ruolo anche la missione navale Sophia a guida italiana. Terzo: muoversi all’unisono, per evitare di ripetere la situazione che si è creata con la Turchia in queste ore, dove Erdogan sta usando l’immigrazione come un’arma contro Bruxelles.
Perché l’Italia dovrebbe avere voce in capitolo più di altri partner europei?
Perché è uno Stato che non ha mostrato velleità imperialistiche in questi anni. Ed è l’unico interlocutore riconosciuto da tutti, che può mettere al tavolo l’insieme delle parti in gioco.
Passiamo al secondo capitolo, il fronte delle nuove tecnologie, a partire dal 5G. In una recente intervista a Formiche.net il direttore Vecchione, commentando la partecipazione di aziende cinesi alla banda larga, ha sottolineato la posizione di “grande equilibrio” seguita dal governo. Su questo siete d’accordo?
Sull’esigenza di tenere insieme libero mercato e sicurezza nazionale nulla da ridire. Nessuno, spero, immagina risposte protezionistiche o monopoli di Stato. È anche vero che il libero mercato è drogato dal dumping di uno Stato, la Cina, che promuove un meccanismo di massimo ribasso. Quando una società ha alle spalle uno Stato sovrano, anzi un impero economico, che può agire sul mercato con l’abbassamento dei costi, è difficile parlare di equilibrio.
Quindi rimanete dell’idea che un’esclusione dei fornitori cinesi deve essere presa in considerazione da Palazzo Chigi?
Deve essere chiara una cosa. Dal 5G e dal controllo delle infrastrutture critiche e delle telecomunicazioni dipende la sovranità del Paese. In Cina questo lo hanno capito, infatti hanno inserito la Belt and Road Initiative (Bri) nella costituzione del Partito comunista cinese (Pcc). Su questo fronte è in corso un’azione di stampo imperialista da parte del governo cinese che non si può negare.
Per l’intelligence la normativa italiana appena aggiornata è all’avanguardia. È così?
Giustamente la relazione dà conto delle novità introdotte, a partire dall’estensione del Golden power alla rete 5G e all’obbligo per gli operatori di notificare i contratti per l’acquisizione di beni e servizi. La domanda seguente che deve porsi la politica è: tutto questo è sufficiente? O è forse necessario agire sugli assetti proprietari e accertarsi che nella parte core della rete non ci siano azioni di spionaggio?
La sua risposta?
Credo che il Golden power sia un punto di partenza molto valido. Il punto di approdo però sta in un approccio più proattivo a livello europeo.
Un mercato europeo del 5G? Non si rischia la deriva protezionistica?
Dobbiamo emanciparci dalla discussione figlia degli anni ’90 secondo cui la globalizzazione dei mercati genera automaticamente una risposta positiva. Il tema del 5G, ripeto, è un tema di sovranità. Mentre noi apriamo i mercati, il governo cinese promuove un sistema ibrido fra capitalismo e comunismo, con una forte impronta dirigista e nazionalista. E ora vuole esportarlo all’estero, il caso dei Paesi dell’Africa orientale come l’Etiopia o dello Sri Lanka sono eloquenti.
Quindi non si tratta di chiudere il mercato, ma di aumentare la consapevolezza, e i controlli.
Esatto, nessuno vuole dichiarare una guerra commerciale alla Cina né tantomeno chiudere il mercato. Si tratta solo di realizzare la singolarità del modello di governo cinese, che si riflette anche sul modello imprenditoriale, e capire che, al contrario delle aspettative iniziali, l’apertura dei mercati alla Cina non ha promosso lì una liberalizzazione del sistema politico, è accaduto il contrario.
Non solo 5G. Per l’intelligence anche il mondo Ecofin è da mettere in sicurezza. Su questo il Copasir ha appena avviato un ciclo di audizioni. Quali sono i confini della vostra attività di indagine?
Dobbiamo attenerci al dettato della norma, e ai confini dell’azione del Copasir, che è limitata a un’attività di analisi e ricognizione, per poi fornire alle forze politiche il quadro di quel che sta avvenendo.
In concreto, il governo cosa dovrebbe fare?
Innanzitutto tener conto dei consigli e degli allarmi che provengono dal mondo dell’intelligence, alla luce di un quadro non roseo, che in questi anni ha visto l’Italia perdere posizioni in settori significativi. Poi fare sistema, e, senza parlare di nuova Iri o Efim, non aver paura di rievocare una maggiore presenza pubblica nei comparti strategici.
Anche alcuni Paesi europei sono stati accusati in questi anni di favorire scalate ostili in grandi aziende e istituti di credito italiani. È il momento di ridefinire le regole con Parigi?
Durante il vertice di Napoli sono stati smussati gli spigoli, e questo è un bene. Credo che anche la Francia si sia resa conto che la politica colbertista allo stato puro non porta risultati, e lo stato attuale dell’economia francese lo dimostra. Il protezionismo nazionalista e la globalizzazione acritica sono due estremi da evitare. Con Macron, che è un convinto europeista, si può promuovere insieme un “sovranismo europeo”.