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Perché togliere l’arma dei migranti a Erdogan è una necessità

Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan non si accontenta più né dei soldi, né dei ricatti. A tre giorni dall’apetura del confine con la Grecia, che sta mettendo a dura prova l’Ellade, il capo di Stato turco è passato dalle minacce a dire all’Europa quello che deve fare. Questa mattina Erdogan ha dichiarato senza troppi mezzi termini che l’Unione europea deve prendersi in casa una parte dei migranti. Con il fare di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico, il capo di Stato ha ironizzato sul fatto che l’Europa pensava stesse bleffando. ‘Quando abbiamo i confini – ha detto Erdogan -, i telefoni hanno iniziato a squillare’.

Il fare è quello di chi sa di avere il coltello dalla parte del manico, più che altro perché dall’altra parte nessuno è pronto a rispondere a modo. L’Europa sui migranti ha avuto una politica cieca, disumana e poco lungimirante. E sicuramente questa non è colpa di Erdogan. Ha deciso di consegnarsi ai ricatti di una Turchia che da Paese candidato all’ingresso si è trasformata a mina impazzita nel Mediterraneo e certo Paese più nemico che amico. Il tutto, con buona pace degli interessi nazionali dei singoli Paese e delle aziende europee che operano nella Mezzaluna. E anche di questo atteggiamento, Erdogan non ha alcuna colpa.

Rimane però il fatto che come gestire un’emergenza umanitaria di questo genere, non ce lo deve spiegare Erdogan, che da anni utilizza le vite di migliaia di persone per i suoi disegni politici. L’ultima dimostrazione, l’ha data venerdì scorso, quando ha deciso di iniziare a sbarazzarsi di tutti quei migranti, siriani e non, che da anni stazionano sul territorio turco e che sono diventati un peso dal punto di vista economico.

Chiedo scusa per la crudezza con cui scrivo queste righe. Ma di questo si tratta. Per prima cosa, molte delle migliaia di persone che si stanno assiepando lungo il confine con la Grecia o tentano una traversata dell’Egeo ad alto rischio, non sono siriane. Ci sono afghani, pakistani, iraniani, palestinesi, iracheni. Tutte persone entrate in Turchia in modo illegale, che risiedono in Turchia da anni e che stanno cercando di ottenere lo status di rifugiato. Per quanto riguarda i siriani, si tratta di quelli che sono entrati in Turchia da partire dal 2010, quando Erdogan pensava ancora che la guerra sarebbe durata poco e che Assad sarebbe caduto in tempo breve e quando cercava di usare i migranti per convincere l’allora presidente americano, Barack Obama, ad attaccare il presidente di Damasco.

Tre milioni e mezzo di vite gli sono serviti per ricattare Bruxelles, che ha sbagliato ad accettare per quattro anni. Adesso che la situazione è sempre più seria, è pronto a riversarli sul territorio della Ue. La questione migranti va affrontata. Ma come e quando non ce lo deve dire Erdogan. Se l’Europa chinerà la testa anche questa volta, e non farà valere tutti i vantaggi, fin troppi, che ha la Turchia rispetto ad altri Paesi, allora davvero per il Vecchio Continente sarà finita. Siamo qui per rispettare i valori i cui crediamo e sui quali è stata fondata la Ue, non per riparare ai calcoli sbagliati fatti da un regime autoritario, che con il concetto di Europa non ha nulla a che vedere.

Va poi tenuto in considerazione un altro aspetto, solo fino a un certo punto secondario, per chi ha l’intelligenza politica di capirlo, e purtroppo sono pochissimi. Con il suo atteggiamento e le sue accuse, Erdogan ha un ascendente sempre più forte su una parte delle comunità islamiche e turche che già vivono in Ue e che sono destinate a variare anche nel peso demografico. In Europa stanno nascendo numerosi partiti fondati da immigrati turchi e rivolti solo a musulmani. Se non vogliamo creare dei ghetti impenetrabili nelle nostre città, nella migliore delle ipotesi, è venuto il momento di gestire il problema della migrazione dalla Siria in modo compatto e ragionevole. Iniziando a mettere Erdogan da parte e capire che questa Turchia è un pericolo per il nostro futuro.



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