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La Pizza Corona e gli stereotipi duri a morire. Il commento di Ocone

Ci risiamo. Il mito dell’italiano “brutto e cattivo” come il Calimero di una vecchia pubblicità ritorna sui media europei. E diventa particolarmente aggressivo in un momento come questo di vera e propria “emergenza nazionale” per il nostro Paese. Nel 1977, quando l’Italia era nel pieno dell’attacco terroristico al cuore dello Stato, uno dei più importanti settimanali tedeschi, Der Spiegel, illustrò la copertina con un piatto di spaghetti sormontato da una pistola. La famigerata P38, per la precisione.

Ora, nel pieno dell’emergenza causata dal Coronavirus, l’offensiva, durata per fortuna solo poche ore, è arrivata dal sito web della seguitissima televisione privata francese Canal+. In un video, rimosso con tante scuse della direzione della tv dopo le proteste bipartisan arrivate dall’Italia (da Giorgia Meloni a Teresa Bellanova, a Luigi Di Maio), si vede un pizzaiolo che sputacchia e starnutisce sulla “pizza Corona”, la pizza al virus, che sta preparando.

Soprassediamo sul cattivo gusto, essendo il buon gusto merce oramai rara in questo mondo. E concentriamoci sul retropensiero che spiega questi intollerabili e reiterati episodi di razzismo antiitaliano. Consideriamo prima di tutto il fatto della centralità che viene ad assumere in essi il cibo e chiediamoci perché i nostri piatti più tipici, quali appunto gli spaghetti e la pizza, siano sempre al centro dell’attenzione. Essi rappresentano, agli occhi stranieri, qualcosa di più che non un semplice food etnico. Si tratta, infatti, di piatti sì tipicamente italiani, ma anche globali: impostisi in tutto il mondo, pur non perdendo il carattere dell’italianità che li segna dall’origine. Anzi, finendo per identificarsi con essa. Sono un’affermazione di identità nazionale.

Cosa è altro l’identità di una nazione, presa nel suo senso più pieno, se non la capacità di aprirsi a tutti restando sé stessi o, il che è lo stesso, di restare sé stessi senza aver necessità di chiudersi e confrontarsi con gli altri? Ora, che gli italiani abbiano una forte identità, come effettivamente è, anche se non sempre ne sono consapevoli, è proprio ciò che fa attrito con lo stereotipo di un Paese debole, gracile, scomposto, diviso, malfermo. Un’immagine di comodo che noi stessi, in una sorta di masochismo, abbiamo spesso fatta nostra e avvalorata. Si pensi a tutta la retorica del’antiitalianità che percorre la nostra storia, almeno da Giacomo Leopardi in poi, e che infine sfocia in quella apparentemente minoritaria, ma in realtà influentissima, cultura azionista che ha plasmato l’ “ideologia” italiana nel secondo dopoguerra.

Essa ha prodotto, ad esempio, quell’idea della necessità per l’Italia di un “vincolo esterno”, cioè di un ancoraggio all’Europa per risolvere i nostri connaturati deficit morali. Un europeismo acritico che ci è costato caro, col senno di poi, perché mentre noi, come l’Acéphale di George Bataille ci decapitavamo la testa, gli altri i loro interessi nazionali continuavano senza indugio, come è naturale che sia, a farseli (e non trovavano in noi nemmeno resistenza).

Il secondo elemento da considerare è che gli altri europei, esaltano i nostri difetti, di cui non sanno (o non riescono) a vedere il lato speculare e positivo, finiscono per vedersi quasi come in uno specchio: come ciò che anche loro, così simili a noi, potrebbero essere. Nel “male”, soprattutto. L’Italia spendacciona e che vive al di sopra delle proprie possibilità, corrotta e litigiosa, è da sempre una “appestata” che può tendenzialmente appestare”.

Quale conferma più forte di questo stereotipo poteva oggi venire dal nostro Paese se non da una “peste” vera, quale in certo modo è il Coronavirus, che già ha passato le frontiere e sta già contagiando gli altri europei. In primis quei francesi che ora ci attaccano. E veniamo così, last but nopt least, a un’ulteriore elemento di questa brutta storia: la rivalità con i francesi, che si sentono “superiori” ma anche tanto simili a noi, mediterranei, latini, cattolici. “cugini maggiori”, nel migliore dei casi. Qui l’immagine dello specchio funziona ancora più forte che altrove: di solito odiamo di più chi è simile a noi più che l’ “assolutamente altro”. “Parenti serpenti”, come si dice. Prendiamone atto e aspettiamo il tempo della rivincita, che ci sarà. Saremo pure tanti Calimero, ma nelle emergenze, la storia ci insegna, abbiamo sempre dato il meglio di noi stessi. Viva l’Italia!



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