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Ecovirus, ecco cosa devasterà le Pmi. L’analisi di Ferretti

In virologia, i virus sono catalogati in 4 livelli di biorischio in relazione alla loro contagiosità ed alle misure profilattiche necessarie per il loro contenimento nei laboratori. Ad esempio, al secondo livello troviamo le epatiti A e B, al terzo livello la Sars, al quarto livello, il più pericoloso, troviamo Ebola, il Virus Lassa, il Vaiolo ecc. Ora, la brusca entrata in scena del Covid-19 (coronavirus) ha evidenziato in tutta chiarezza la nascita di un nuovo gruppo di virus che potremmo denominare “ecovirus” (virus dell’economia).

Le principali caratteristiche degli ecovirus sono le seguenti: 1) sono moderatamente aggressivi verso l’uomo, ma sono decisamente letali per le economie; 2) gli ecovirus si comportano con l’economia esattamente come tutti i normali virus si comportano nei confronti degli uomini: diventano particolarmente aggressivi in presenza di contesti economici già minati da patologie preesistenti o indeboliti da un abbassamento delle difese immunitarie; 3) la loro notevolissima capacità di contagio (favorita dal fatto che gli ecovirus tendono a muoversi sotto traccia anche per lunghi periodi) genera fenomeni di panico diffuso e allarme sociale. E questa loro caratteristica li rende molto pericolosi per i settori economici a forte impatto emozionale e comportamentale quali il turismo, i trasporti di passeggeri e l’agroalimentare. Seguendo il principio della Scala Mercalli che classifica i terremoti in base ai danni causati a cose e persone, anche gli ecovirus possono essere ordinati lungo una scala con 6 livelli a seconda dei danni arrecati all’economia (Scala Ferretti).

1° livello: individuazione dei primi casi; allerta sanitaria; assenza di limitazioni alle attività economiche. 2° livello: focolai circoscritti, ma in espansione; prime limitazioni al movimento delle persone e al trasporto delle merci; riduzione degli orari degli esercizi pubblici e commerciali. 3° livello: moltiplicazione dei focolai; blocco degli spostamenti dalle zone rosse; difficoltà nell’approvvigionamento delle merci; riduzione dell’attività delle imprese. 4° livello: focolai estesi in più regioni; massiccio utilizzo della quarantena; chiusura delle aziende nelle zone colpite; riduzione delle presenze turistiche; cancellazione di eventi, fiere, convegni; 5° livello: tutto il territorio nazionale viene percepito dall’estero come “zona rossa” (sindrome del lazzaretto); forti disdette degli ordinativi delle industrie in tutti i settori; cancellazione al 90% delle prenotazioni turistiche; apprezzabile contrazione del Pil 6° livello: epidemia conclamata; progressivo blocco di ogni attività imprenditoriale; blocco dei trasporti; interruzione della continuità produttiva (approvvigionamento merci, produzione, distribuzione e commercializzazione dei beni); totale blocco del movimento turistico; forte contrazione del Pil nazionale.

Ovviamente la risposta della politica e dei governi dovrà essere tempestiva e commisurata al livello di rischio raggiunto dallo specifico ecovirus. Al momento, il virus contro il quale si sta combattendo in Italia potrebbe essere catalogato come un ecovirus di livello compreso tra il 4° ed il 5°.

Il problema è che la nostra situazione economica appare particolarmente fragile e quindi vulnerabile a questi shock esogeni in quanto coesistono due fattori non trascurabili. Il primo, come detto, riguarda il fatto che gli ecovirus diventano particolarmente aggressivi in presenza di scenari economici colpiti da patologie pregresse. E sussistono pochi dubbi sul fatto che in Italia il Covid-19 abbia trovato una economia afflitta da una grave sindrome immunodepressiva causata da patologie quali scarsa crescita, scarsa produttività, notevole indebitamento, bassa competitività ed elevata pressione fiscale. E non è certo una novità il fatto che l’Italia continui a crescere a ritmi asfittici: tutte le istituzioni nazionali e sovranazionali (Fmi, governo, Ufficio Parlamentare del Bilancio, Istat, Banca d’Italia e Commissione Ue) erano concordi nel prevedere (ovviamente ante coronavirus) una crescita del Pil italiano nel 2020 contenuto in una forchetta compresa tra lo 0,2% e lo 0,6%. Già oggi l’Ocse prevede una crescita zero per il 2020.

Il secondo fenomeno riguarda invece le banche. È ormai da tutti riconosciuto che il settore bancario italiano, grazie anche all’efficienza dell’ABI, è quello che negli ultimi anni ha compiuto lo sforzo maggiore per ridurre la pesante zavorra di credito deteriorato accumulatasi dalla crisi. Per rendersene conto basterà dare una occhiata agli ultimi bilanci delle principali banche quali Intesa, Unicredit e Banco Bpm. Tuttavia il nostro credito deteriorato, pur ridottosi dai circa 340 miliardi dell’apice della crisi agli attuali 165 miliardi, permane a livelli decisamente più elevati rispetto alla media europea (8% degli impieghi in Italia contro una media europea del 3% circa). Il problema è che, qualora il Covid-19 continuasse a tartassare le nostre Pmi, si potrebbe innescare un pericoloso circolo vizioso. Infatti, a fonte dell’inevitabile incremento delle sofferenze, gli istituti sarebbero chiamati, secondo la normativa di vigilanza di Basilea 3, ad effettuare ulteriori accantonamenti a conto economico o a rafforzare il patrimonio. Questo però potrebbe impedire alle banche di supportare al meglio un comparto produttivo ancora stremato da una crisi decennale ed oggi esposto al contagio dei nuovi ecovirus.

 



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