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Phisikk du role – Autogratulazione di un mandarino

Qualche anno fa avevo in mente una ricerca che raccontasse, analisi statistica alla mano, il mondo degli Highlander italiani, gli unici veramente inamovibili nelle istituzioni nazionali: i vertici della burocrazia. L’idea era quella di dimostrare, attraverso le ricorrenze ineluttabili dei nomi nelle posizioni apicali di ministeri, organi costituzionali, authorities, quanto ristretto, castale e tendente all’eternità possa essere il club dei superburocrati. Poi rinviai la ricerca sopraffatto da altre urgenze.

Giuseppe Salvaggiulo con il suo libro-confessione raccolta dall’anonimo capo di gabinetto evergreen, Io sono il potere. Confessioni di un capo di gabinetto (Feltrinelli, 2020), torna sul tema ed offre risposte convincenti e, dal punto di vista narrativo, godibili, alla domanda su chi siano e da dove vengano questi specialissimi civil servant, incardinati nelle stanze del potere che contano – soprattutto quando la politica è debole – più di quanto possa fare con le sue forze di mitilo debilitato del mediterraneo meridionale, una cozza pelosa nello scoglio.

Apprezzo la scelta narrativa, il racconto dell’anonimo ancora in carriera da qualche parte nel gabinetto Conte, che alterna sentimenti ( e qui capisci che la gola profonda è vera per tutte le stille di agrodolce schizzate di qua e di là in faccia a colleghi “apicali”), stati d’animo, descrizioni del contesto. L’affresco è maestoso: per la traccia burocratico-impiegatesca, piegata al comandamento supremo del compiacere il potente politico si intravede il migliore Fantozzi, anche se il biliardo del megapresidente, lup mann eccetera è sostituito dalla partita a paddle ( dopo la sudata negli spogliatoi si è più inermi e disponibili ad ascoltare le richieste). Ma c’è anche una traccia umbratile, dai tratti sfuggenti e in chiaroscuro, quasi mistica, genere Sorrentino del Divo: cinismo, programmazione creativa di carriere, memoria lunga, all’interno di palazzi romani lumeggiati da qualche condiscendente abat-jour in ambienti drappeggiati di velluto.

Il Capo di Gabinetto, superati i giorni di trepidazione per il suo destino, che si rimette in discussione ad ogni caduta di governo, riprende saldamente in mano il comando della nave, che nel frattempo ha cambiato armatore, avendo per definizione il compito di gestire quell’interstizio di potere tra la decisione assunta dalla politica e l’esecuzione in chiave amministrativa. E il gioco del potere è proprio lì, in quel cono d’ombra che può tradurre la scelta del governo in fatto concludente oppure decretarne la totale inefficacia e dunque il fallimento. L’uomo che si confessa al giornalista è il sapiente amministratore delle tavole sapienzali del suo mestiere: come lo sciamano per le tribù primitive, il nostro, al vertice di quella che lui stesso chiama “ la bestia burocratica”, può evocare il problema insormontabile o esorcizzarlo. In fondo la legge la fa lui ed è lui che si nasconde tra i commi e i rinvii. Perché, alla fine della fiera, lui non “serve” la politica. Lui la politica la fa.

Il superburocrate occulto snocciola molti nomi- con appropriatezza di informazioni su carriere e simpatie politiche- e qualche numero per togliere le curiosità più urgenti. L’apice della crème, insomma, il top degli Highlander è formato da non più di 50 persone, sempre quelle in tutti i governi della Repubblica. Addirittura i dieci più assidui frequentatori del club hanno accumulato 89 incarichi apicali sui 343 disponibili (25%) nell’arco di tempo che va dal 1979 al 1995. Si tratta di dieci premi Oscar della superburocrazia ministeriale, superati solo dall’inarrivabile Alfonso Rossi Brigante, incaricato in 13 ministeri diversi. Oscar alla carriera.

La genesi del grand commis è nella contiguità con la politica: dai primi costruttori di burocrazia dell’Italia unita a salire fino agli albori della prima Repubblica, il capo di gabinetto vive in simbiosi organica con il suo ministro, nella logica del simul stabunt simul cadent. Poi il commis ha preso la sua strada e si è fatto “struttura”, per cui oggi, pur avendo molti “ingressi laterali” la carriera del Capo di Gabinetto tende ad attingere ad una fonte collaudata. E, con la temuissima qualità del ceto politico, non fa molta fatica a prevalere e a comandare. Da un lato Highlander, dall’altro un parlamento che segna un turn over del 67% per ogni nuova legislatura, non ci pare che ci sia grande storia.

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