Non sarà facile per Irene, la nuova missione europea, impedire l’arrivo di armi in Libia. L’embargo dell’Onu è attivo dal 2011, ma negli ultimi cinque anni sono stati diversi i Paesi che hanno fatto pervenire armamenti a entrambe le parti coinvolte nel conflitto, il governo di accordo nazionale (Gna) guidato da Fayez al Serraj e l’Esercito di liberazione libico di Khalifa Haftar. Lo certifica l’autorevole Stockholm international peace research institute (Sipri) che, nel suo ultimo report sui trasferimenti globali di armamenti, dedica un approfondimento alla crisi libica.
IL REPORT SIPRI
La pubblicazione si riferisce al quinquennio 2015-2019, lo stesso in cui il conflitto in Libia è esploso, facendosi poi ancora più complesso e acceso negli ultimi mesi, con la discesa in campo diretta di Russia e Turchia ed effetti che potranno essere valutati solo nel report del prossimo anno. Intanto però, Sipri ha messo nero su bianco i nomi dei Paesi che hanno fatto arrivare armi alle fazioni coinvolte, pur riconoscendo che “i dettagli sono incerti e i volumi non possono essere stimati”. Lo scorso anno, spiegano gli esperti, “il governo di accordo nazionale ha ricevuto un numero sconosciuto di veicoli corazzati e velivoli armati a pilotaggio remoto dalla Turchia”.
LE ARMI IN CAMPO
D’altra parte, tra il 2015 e il 2019, le forze del generale Haftar “hanno ricevuto veicoli corazzati dalla Giordania e dagli Emirati Arabi, elicotteri da combattimento dalla Bielorussia, forniti via Emirati Arabi, e velivoli da combattimento dall’Egitto”. In più, Sipri nota che “aerei e droni armati originari degli Emirati sono stati usati in combattimento, compreso nel 2019”. Per gli esperti, resta “non chiaro” se siano stati operati da emiratini o direttamente dai combattenti di Haftar.
GLI EFFETTI A CATENA
C’è poi da considerare l’effetto a catena generato dalla crisi libica sui Paesi coinvolti o vicini. Come prevedibile, è stato tutto il nord Africa a incrementare il proprio import di materiali d’arma, arrivando a coprire il 74% delle esportazioni del continente. L’Algeria ha aumentato del 71% rispetto al quinquennio 2010-2014, attestandosi dunque al sesto posto della classifica globale degli importatori. Ha fatto di più l’Egitto aumentando gli acquisti 212%. L’altro lato della medaglia riguarda i Paesi che hanno venduto ad Algeria ed Egitto, riuscendo dunque a intercettare l’incremento di una domanda a cui la crisi libica ha contribuito. Se Algeri ha come primi fornitori Russia (67%), Cina (13%) e Germania (11%), Il Cairo si rifornisce soprattutto da Francia (35%), Russia (34%) e Usa (15%). Per Mosca, è evidente il posizionamento nel quadrante.
LA MISSIONE IRENE DELL’UE
Numeri con cui avrà a che fare Irene, la nuova missione europea per il monitoraggio dell’embargo sulla Libia e il rispetto di quanto sancito alla Conferenza di Berlino. L’operazione è aero-navale-satellitare, concentrata sulle coste est del Paese, tale da non poter certo impedire l’arrivo di armi via terra (preoccupa soprattutto l’approvvigionamento da Egitto alle forze dell’Lna). C’è poi l’ipotesi di interruzione della componente navale in caso si dimostrasse pull factor per i traffici di migranti, determinante per convincere Austria e Ungheria (i più titubanti) a dare l’ok, con i dubbi però che spiegava il generale Marco Bertolini.
I VERTICI UE
L’accordo politico è arrivato dal Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue a metà febbraio, il vertice che ha sancito la fine di EuNavForMed Sophia, dando contestualmente il primo via libera alla nuova missione. La scorsa settimana, dal vertice tra i ministri della Difesa a Zagabria è invece arrivato il nome “Irene”, nonché la buona notizia per l’Italia: il mantenimento del comando dopo Sophia, nelle mani dell’ammiraglio Fabio Agostini e del quartier generale a Centocelle, Roma. L’ufficialità arriverà con ogni probabilità al prossimo Consiglio Affari esteri, previsto (a questo punto in teleconferenza) il 23 marzo.