Il numero dei casi di Covid-19 al di fuori della Cina è aumentato di 13 volte e il numero di Paesi colpiti è triplicato. Ci sono più di 118mila casi in 114 Paesi e 4.291 persone hanno perso la vita. Altre migliaia stanno combattendo per la propria sopravvivenza in ospedale. È quanto dichiarato dal direttore generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.
In questa situazione di grave emergenza alcune riflessioni etiche potrebbero far chiarezza sui principi che guidano i medici ad applicare il miglior trattamento in un bilanciamento tra benefici e svantaggi.
LE RACCOMANDAZIONI ETICHE DELLA SIAARTI
È di qualche giorno fa la pubblicazione, (da parte della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva Siaarti), delle Raccomandazioni di etica clinica rivolte agli anestesisti-rianimatori, impegnati in prima linea a gestire una “maxi-emergenza”. Tali Linee guida, a carattere non vincolante, stabiliscono di privilegiare “la maggior speranza di vita tra chi deve essere ricoverato in terapia intensiva, in uno squilibrio tra le necessità cliniche reali della popolazione e la disponibilità effettiva di risorse intensive”. A seguito di tutti gli sforzi possibili per aumentare la disponibilità di risorse erogabili e dopo la valutazione di ogni possibilità per trasferire i pazienti in altri centri di cura che possono prendersene carico, le “Raccomandazioni” individuano alcuni parametri che permettono l’accesso alle cure intensive. Limite di età, possibilità di sopravvivenza, più anni di vita salvata, presenza di comorbidità: sono tra i criteri, a carattere straordinario, presi in considerazione per stabilire o meno l’accesso in terapia intensiva.
LO SCENARIO DELLA MEDICINA DELLE CATASTROFI
La situazione descritta nelle linee-guida è quella della “Medicina delle grandi emergenze e delle catastrofi”, che comprende tutte le procedure mediche e di primo soccorso effettuate in caso di maxiemergenza o catastrofe e nella quale si è costretti, attraverso un processo decisionale clinico, a scegliere chi curare, a causa delle poche risorse a disposizione; una scelta effettuata sulla base di un’integrazione di varie componenti sanitarie e logistiche e sulla maggiore probabilità di sopravvivenza che ha una persona rispetto ad un’altra. Tale processo decisionale è il cosiddetto “triage” nato sui campi di battaglia. Per estensione, dal 2001, questa tecnica viene applicata obbligatoriamente, in Italia, nei pronto soccorsi con più di 25mila accessi l’anno, con lo scopo, però, di effettuare scelte di priorità temporale, nell’impossibilità di offrire a tutti contemporaneamente le cure necessarie, che comunque saranno offerte.
LA SITUAZIONE ATTUALE
Le linee-guida della Siaarti si riferiscono ad uno scenario di guerra che rappresenta la peggiore ipotesi che a causa del Covid-19 potrebbe verificarsi. Ma, oltre ai medici e agli operatori sanitari, impegnati in prima linea a contenere il numero dei contagiati e a curare i pazienti, anche le istituzioni stanno mettendo in atto, attraverso provvedimenti urgenti, tutte le misure idonee a garantire le cure. Si assume personale, si aumentano i posti nelle terapie intensive e sub-Intensive, si trasformano o si creano nuovi reparti e addirittura rinascono vecchi ospedali, finalizzati a debellare un virus che sta mettendo tutti noi a dura prova. Anche la Difesa si sta mobilitando. Medici e infermieri militari sono scesi in campo per sostenere gli ospedali; più di 2200 stanze sono state messe a disposizione per le persone sottoposte a quarantena e, in caso di necessità, 4 Caserme sono pronte a fronteggiare l’emergenza. Così come la Difesa, anche alcune strutture private hanno dichiarato la loro disponibilità nel prestare cure efficaci generando, come conseguenza, una potenziale riduzione del numero dei pazienti negli ospedali pubblici. E poi, come non ricordare lo sforzo continuo delle aziende farmaceutiche, che oltre ad offrire concrete possibilità di cura attraverso farmaci innovativi, offrono azioni di notevole valore aggiunto a sostegno delle persone. Tutto questo, per evitare che si arrivi all’estrema situazione descritta dalla Siaarti e alla applicazione di criteri caratterizzanti “triage” di guerra.
LA MEDICINA CENTRATA SULLA PERSONA E IL CRITERIO DI PROPORZIONALITÀ
Soprattutto nella medicina di oggi, caratterizzata dal superamento dell’etica medica paternalistica, e focalizzata sempre di più sulla persona, è giusto far osservare che la scelta sul proseguire o sospendere le cure intensive dovrebbe essere fatta sulla base del principio di proporzionalità, attuando un bilanciamento, tra ciò che potrebbe apportare effettivamente un beneficio per il paziente e ciò che potrebbe, invece, costituire una ostinazione irragionevole.
In Italia, con la Costituzione entrata in vigore del 1948, principi come quello di libertà, eguaglianza, tutela della salute, solidarietà, dignità della persona, si sono gradualmente affermati nella società, fatti propri dal nostro ordinamento, approfonditi con sentenze della Corte di Cassazione e pronunce della Corte Costituzionale. Rappresentano il cuore di tutto il nostro ordinamento e caratterizzano il nostro sistema sanitario nazionale. Sarebbe auspicabile, però, per evitare l’applicazione di criteri non etici ed estremi, una ristrutturazione e un investimento cospicuo, non appena possibile, a beneficio di tutte le strutture e soprattutto delle terapie intensive.