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Francesco in preghiera nel centro di Roma. Contro gli opposti estremismi

Per capire da un lato il valore cittadino della passeggiata del vescovo di Roma nel centro di Roma e dall’altro della passeggiata solitaria di papa Francesco nel mondo chiuso, insieme alle sue due preghiere, occorre partire dalla lettura dei dati sulla pandemia, soffermarsi su alcuni gravissime criticità e arrivare alle tentazioni che crescono nelle società, romana e mondiale.

Basta aprire un giornale, uno qualsiasi, per capire che le cose in Italia come in Europa non vadano per niente bene per quanto riguarda il controllo della diffusione del coronavirus. I numeri sono noti a tutti, inutile ripeterli. Ma questi numeri stranamente ci dicono che dobbiamo essere grati a papa Francesco e ai vertici della Cei se le cose non vanno molto peggio. Per rendercene conto appieno dobbiamo guardare a Paesi dove sono state fatte altre scelte. In Iran l’ayatollah Khamenei ha detto che il coronavirus si sarebbe sconfitto pregando di più. Nulla di criticabile o sbagliato, se fosse stato accompagnato da un contemporaneo trasferimento urgente di fondi dal bilancio militare a quello sanitario. Per non farlo e consentire ai fedeli di pregare di più si sono lasciati aperti, spalancati, i santuari, i luoghi di pellegrinaggio: in particolare quello della città santa di Qom, dove si va a pregare sulla tomba di Fatima, e il santuario di Zeinab, in Siria. Ed ecco che una sorta di sterminio, nel caso siriano un secondo sterminio, si sta verificando proprio per via di questi pellegrinaggi di disperati, di sventurati, lasciati senza nessuna assistenza sanitaria, accalcati gli uni accanto altri.

Non è la verità di fede di queste popolazioni ad essere in discussione, ma l’uso scandaloso della paura e della devozione. In Siria sono stati distrutti gli ospedali, sono stati deportati i medici, non ci sono medicine. Si poteva almeno prendersi cura dei pochi rimasti evitando questo vergognoso uso della paura popolare. Molte notizie parlano di focolai che proprio introno a quei santuari hanno scatenato contagi incontrollabili, e in alcuni casi i malati avrebbero visto le autorità accelerare il loro decesso. Vero? Non lo so. Ma sono voci inquietanti, allarmanti, tremende, che in queste ore vanno raccolte, almeno per chiedere di fare chiarezza. Solo in Siria un’importante organizzazione di assistenza sanitaria internazionale attesta almeno cinquecento decessi noti. Ufficialmente però sono zero.

Quelle voci che oggi da noi invocano messe di massa, processioni, non sanno che l’esito sarebbe lo stesso qui, pur avendo l’Italia un sistema sanitario di gran lunga migliore di quello siriano e di quello iraniano? Improbabile, e così diviene difficile non pensare a un uso della paura e della devozione dei popoli per attaccare, criticare, sminuire, allontanare, dividere. Ma dov’è la spiritualità in una vita di fede che sa seguire e parlare solo in termini di adunata esorcizzante o di burocrazia? Proprio in questo dimostra di avere ragione chi vede un deficit formativo, un’educazione di fede “ monocorde, strutturata, molto rituale”. Quanto conta per questo cattolicesimo l’ascolto, la meditazione della Parola?

Giovanni, 4 dice: “Ma l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità”. E il Talmud in modo inequivocabile afferma: “Se in città c’è una pestilenza ritira i tuoi passi”. Il coraggio della Chiesa, se di questo occorre parlare, è quello di andare a dare conforto ai malati, agli abbandonati, a chi ha perso tutto per questa tragedia chiamata coronavirus. Pur convinto di questo non mi ha sorpreso leggere le affermazioni dell’ex nunzio Viganò, che ha detto: “I pronunciamenti della Cei, quelli ondivaghi del cardinale Vicario di Roma, come pure le immagini surreali e spettrali che ci provengono dal Vaticano, sono altrettante espressioni dell’oscuramento della fede, che ha colpito i vertici della Chiesa. I Ministri del Sole, come amava chiamarli Santa Caterina da Siena, ne hanno provocato l’eclisse, consegnando il gregge alla caligine di dense tenebre.”

Questa è l’ora della responsabilità e della prossimità. Responsabilità davanti a paure apocalittiche, a immaginati castighi di Dio, o al desiderio di magie. E prossimità con gli smarriti , gli impauriti, i sofferenti , gli ammalati. Che l’ex nunzio Viganò ritenga lecito cercare ogni pretesto per attaccare papa Francesco è cosa nota. Padrone di farlo e alcuni di seguirlo. Ma arrivare a questo per sperare di dividere il capo della Chiesa cattolica da alcuni dei suoi fedeli a me sembra poco elegante nei confronti dei malati, dei medici, degli infermieri, dei parenti di chi soffre.

Queste affermazioni infatti sono l’opposto dalla passeggiata di papa Francesco, che a piedi, da solo, rischiando forse lui ma senza mettere in pericolo proprio nessuno, è andato prima a Santa Maria Maggiore e poi nella chiesa di San Marcello, per pregare e chiedere la fine dell’epidemia. Dopo la sosta a Santa Maria Maggiore, ha spiegato il direttore della sala stampa vaticana, “facendo un tratto di Via del Corso a piedi, come in pellegrinaggio, il Santo Padre ha raggiunto la chiesa di San Marcello al Corso, dove si trova il Crocifisso miracoloso che nel 1522 venne portato in processione per i quartieri della città perché finisse la ‘Grande Peste’ a Roma”. La fede di Francesco è così: responsabilità e prossimità.

Così abbiamo gli elementi per vedere il grande sforzo che il Papa sta tentando: arginare le spinte “medievali”, quelle che invocano un’irrazionalità della fede, come se essa fosse fuori dalla realtà e dalla vita, quella che prospetta miracoli per evitare apocalissi, e al contempo arginare la tentazione del modello totalitario, per cui si chiude tutto, si controlla tutto, si osserva tutto. In mezzo c’è un altro modello, quello del “legame”, espresso dalla sua benedizione alla piazza vuota al momento dell’Angelus e della prossimità che non rinuncia, quello della sua passeggiata intrisa di amore e vicinanza nel centro di Roma.

Il papa non può, né tenta di indicare il modello economico da seguire, ma può aiutarci a respingere le tentazioni; gli opposti estremismi che farebbero saltare responsabilità, prossimità e legami in un’epoca che se prevalessero loro diventerebbe segnata da ritorni irrazionalisti o da estremisti degni da Grande Fratello.



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