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Regimi illiberali e democrazie. Ecco chi combatte meglio il coronavirus

Nel web si è diffusa la credenza che le democrazie costituzionali siano meno efficienti dei regimi illiberali nel reagire a situazioni di emergenza e particolarmente di pandemia. Non necessariamente è così; anzi è molto più facile che nelle fasi iniziali (decisive per bloccare i contagi) le dittature e/o le cosiddette semi democrazie accumulino ritardi e colpevoli sottovalutazioni nella percezione dei rischi nonostante la sorveglianza di massa che possono esercitare, avvalendosi delle reti digitali, delle video camere e degli apparati di Intelligenza Artificiale di cui dispongono.

È per esempio noto a tutti che in Cina nella città di Hong Kong – dove è in vigore la libertà di stampa – la risposta al coronoavirus sia stata molto rapida ed efficace. Per non parlare della Corea del Sud che per la sua efficienza ha raccolto l’ammirazione del mondo.

In Corea del sud la curva dei contagi è scesa rapidamente e grandissimo e tempestivo è stato il numero dei test effettuati ai cittadini. Se qualcuno avesse ancora dubbi ieri il comportamento della magistratura israeliana è stato inequivocabile, rapido ed esemplare. Il procuratore generale di Israele Avichal Blandelblit – noto al mondo per aver incriminato Benjamin Netanyahu – ha autorizzato – in deroga alle vigenti norme sulla privacy – le autorità investigative a “penetrare” nelle comunicazioni telefoniche e digitali dei cittadini israeliani risultati positivi al test del Covid-19 (sabato erano 213 di cui 165 con disturbi leggeri).

Il provvedimento deciso ieri dal procuratore Blandelbit consente di geolocalizzare, identificare e sopratutto rintracciare le persone con cui i cittadini risultati positivi al CR-19 sono venute in contatto nelle ultime settimane. È un’azione mirata e circoscritta, ma molto efficace. Queste catene di relazioni sono utilissime non solo per avvertire nel più breve tempo i cittadini potenzialmente a rischio, ma anche per organizzare una risposta mirata sul piano diagnostico, ospedaliero, epidemiologico e logistico.

Il procuratore Blandeblit – che per inciso in molte occasioni ha dimostrato di difendere con decisione la propria indipendenza e la separazione dei poteri propria di uno Stato di diritto – ha inserito molti paletti tecnico-giuridici e temporali che per ragioni di spazio non possiamo esporre nel dettaglio. Tra questi mi limito a segnalare che si è rifiutato di applicare le tecnologie per il controllo da remoto dei cittadini israeliani in quarantena che l’esecutivo avrebbe invece voluto. Come si vede anche le democrazie possono avere le loro deroghe ed i loro stati di eccezione senza stravolgere i principi fondanti dello Stato di diritto. Quali conseguenze trarre nel nostro paese?

È difficile dar torto a chi si è arrabbiato per le troppe fughe di notizie e per il fatto che il governo non si è affidato a persone esperte di comunicazione di emergenza. Tuttavia nel complesso – come ha ricordato sabato scorso a Napoli il generale della Nato James Foggo la risposta italiana (sistema sanitario, cittadini, autorità) tra le migliori del mondo. Forse si poteva intervenire con misure più energiche due o tre settimane prima. Purtroppo altri paesi democratici si sono mossi con lentezza ancora maggiore.

Tuttavia a chi sopratutto sul web e in tv ha parlato del “modello cinese” come il migliore modo di bloccare con durezza l’epidemia dobbiamo ricordare quanto segue. L’epidemia a Wuhan era già nota il 17 novembre 2019 e si è aspettato il 23 gennaio 2020 per agire contro il contagio e per comunicare al mondo la gravita del fenomeno. L’epidemia stava colpendo da più di due mesi il paese perché nel frattempo moltissime persone avevano lasciato Wuhan e il territorio del Hubei diffondendo il contagio in tutta la Cina. Di questi errori e di ritardi gravi hanno parlato gli stessi vertici del Partito Comunista Cinese.

Certo le dimensioni del disastro sono immense. C’ è anche chi ragiona di un risarcimento di danni sopratutto per il colpevole o colposo ritardo di due mesi e mezzo. Questa è materia per luminari di Diritto Internazionale e di Scienze Diplomatiche. La piccola lezione che ieri è da Israele è invece molto più semplice, ma molto importante.

La rivoluzione digitale (cosi come la futura computazione e comunicazione quantistica) sono pienamente compatibili con libertà civili, democrazia e Stato di diritto. Basta organizzarsi nel modo giusto. Una grande Nazione come la Cina potrebbe utilmente prenderne atto senza proseguire campagne propagandistiche che come abbiamo appena osservato i fatti si incaricano di smentire.

Il popolo cinese ha grande fiducia nei suoi governanti per lo straordinario balzo in avanti compiuto negli ultimi 40 anni, particolarmente nel settore delle più avanzate tecnologie digitali e delle telecomunicazioni. Di questo grande salto è il popolo cinese è giustamente orgoglioso. Esso consentirà alla Cina di affrontare le grandi sfide delle società digitali in cui viviamo, ma sarebbe il momento di fare tesoro dell’esperienza: tecnologie senza la libertà possono possono produrre conseguenze molto gravi.



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