In un mondo sempre più complesso e denso di minacce (comprese quelle biologiche come il Coronavirus), la Nato spende di più per la difesa e continuerà a farlo nei prossimi anni. Gli Stati Uniti restano in testa con un budget da 730 miliardi di dollari, oltre il doppio rispetto a quello di tutti gli altri alleati. L’Italia resta lontana dal 2% del Pil che si è impegnata a raggiungere rispetto al 2024, anche se per la prima volta emergono segnali incoraggianti che pure non riducono le distanze dai partner (e competitor) europei. È quanto emerge dal consueto report annuale del segretario generale della Nato, presentato questa mattina a Bruxelles da Jens Stoltenberg in una conferenza stampa obbligatoriamente streaming in virtù delle misure adottate per frenare il contagio da coronavirus.
UN TEMA DELICATO
Come da ormai due anni, Stoltenberg continua a mostra il bicchiere mezzo pieno su quello che resta uno dei nodi più delicati all’interno dell’Alleanza, il cosiddetto burden sharing, ovvero l’equilibrata ripartizione degli oneri tra i Paesi membri. A innalzare il livello d’attenzione sul tema è stato Donald Trump, sin dall’inizio del suo mandato, riprendendo puntualmente gli alleati meno attenti ad aumentare gli investimenti per la Difesa (soprattutto la Germania, bersaglio preferito, ma in più di un’occasione anche l’Italia). Eppure, se negli anni precedenti sembrava che l’insofferenza del presidente americano potesse far esplodere l’Alleanza (si ricorda il clima teso del summit a Bruxelles del 2018), lo scorso anno è stato contraddistino da una riduzione della tensione, complice anche l’azione costante di Stoltenberg in qualità di “tranquillizzatore”.
IL BICCHIERE MEZZO PIENO
E così, anche nel suo ultimo report il segretario generale nota che il 2019 è stato il quinto anno consecutivo di aumento della spesa tra Europa e Canada, con un incremento del 4,6% rispetto al 2019. Gli alleati in linea con il 2% sono diventati nove: Usa, Bulgaria, Grecia, Regno Unito, Estonia, Romania, Lituania, Lettonia, Portogallo e Polonia. Entro la fine dell’anno, l’aumento complessivo tra Europa e Canada ammonterà a 130 miliardi di dollari rispetto al 2016, con la previsione di raggiungere quota 400 miliardi entro il 2024, anno in cui tutti (stando agli impegni assunti in Galles) dovrebbero raggiungere la fatidica soglia. Non succederà, poiché diversi Stati (Italia in testa) ancora latitano di piani per aumentare gli investimenti.
I NUMERI
D’altra parte, il rapporto tra le due sponde dell’Atlantico resta squilibrato. Gli Stati Uniti coprono il 52% del Pil complessivo tra tutti i membri, ma oltre il 70% delle spese per la Difesa, che in totale ammontano a circa 1 trilione di dollari (mille milioni). Seguono Regno Unito, Francia e Germania, che coprono ciascuno circa il 5% delle spese complessive, ben al di sopra del 2% italiano (sebbene la Penisola rappresenti il 5% del Pil). Una differenza che si fa sentire in merito al 2% del Pil da spendere in Difesa. Gli Stati Uniti, che per il 2020 hanno una spesa autorizzata di 738 miliardi, arrivano al 3,42%. Il Regno Unito si attesta al 2,14%, la Francia all’1,84% e la Germania all’1,38%. L’Italia è ferma all’1,22%. Poi, c’è il paramento del 20% (le cosiddette capability), cioè l’obiettivo, sempre entro il 2024, di destinare un quinto delle spese per la difesa agli investimenti per equipaggiamenti major. Intrecciando le due soglie, si nota come in pochi abbiano già soddisfatto i requisiti sanciti in Galles: Stati Uniti, Regno Unito, Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania e Polonia. L’Italia ha già raggiunto da anni la soglia del 20%.
LE DIFFICOLTÀ ITALIANE
Le difficoltà italiane sono comunque legate ai termini assoluti di spesa, lì dove la differenza con i partner (e competitor) del Vecchio continente salta più all’occhio. Rispetto ai 21 miliardi di euro italiani, la Francia ne spende 44, la Germania 48 e il Regno Unito addirittura 50. Una differenza importante, che rischia di farsi ancora più consistente nei prossimi anni. Tanto Parigi quanto Londra hanno d’altra parte già presentato piani di rinnovamento complessivo dei rispettivi strumenti militari, e anche Berlino ha mostrato sul tema un’ambizione piuttosto decisa.
I PIANI DI PARIGI, LONDRA E BERLINO
Per i francesi, il riferimento è Legge sulla programmazione militare 2019-2025, promossa dal ministro Florence Parly, supportata dal presidente Emmanuel Macron e ben focalizzata su settori strategici (tra cui lo Spazio) e innovazione tecnologica (dalla robotica all’intelligenza artificiale). Per i britannici, l’obiettivo di restare sopra il 2% del Pil è stato definito chiaramente nella nuova Global Britain, la strategia che punta a rafforzare la postura internazionale nell’era post-Brexit. Meno strutturata la programmazione tedesca, anche se per il 2020 è stato presentato un incremento di oltre tre miliardi per la Difesa (l’obiettivo, promesso a Washington, è arrivare all’1,5% del Pil entro il 2024), utili soprattutto a far fronte alle inefficienze mostrate a più riprese dalla Bundeswer, le Forze armate di Germania.
I SEGNALI DA ROMA
All’Italia non resta che sperare in novità rilevanti, anche se la crisi annunciata da Coronavirus rischia di impattare su tutti i settori dello Stato (sarà opportuno preservare quelli con ricadute importanti sul sistema-Paese e sulla sicurezza nazionale). Un primo segnale incoraggiante è comunque arrivato dal bilancio 2020 della Difesa, dicastero guidato da Lorenzo Guerini. La dotazione prevista è di 22,9 miliardi, uno e mezzo in più rispetto allo scorso anno, un balzo notevole rispetto a quanto visto nell’ultimo decennio. È cresciuta soprattutto la Funzione Difesa (15,3 miliardi), con al suo interno segnali di un iniziale riequilibrio della sproporzione tra le voci personale (in leggero calo), esercizio (in aumento) e Investimento (in forte aumento), con le ultime due da sempre piuttosto risicate. Infine, c’è da considerare la regola delle 3C. La Nato non guarda solo al cash (il 2%) e alle capability (il 20%), ma anche al contribution. Indica il contributo effettivo alle missioni comuni. Su questo, la Penisola è seconda solo agli Stati Uniti. Basta scorrere il report di Stoltenberg per accorgersene: il Tricolore appare nella maggior parte degli impegni Nato, dai Balcani all’Afghanistan, fino all’Islanda e alla Lettonia.