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Italia primatista nell’economia circolare. Il Rapporto Cen-Enea

Ogni abitante del nostro Pianeta utilizza più di 11 mila chili di materiali ogni anno e questo consumo cresce ad un ritmo doppio di quello della popolazione mondiale. Per invertire questa tendenza, quella che va sotto il nome di “economia estrattiva”, che concorre alla crisi climatica, a cominciare dell’invasione dell’usa e getta, la soluzione si chiama economia circolare: materiali che possono essere riciclati e riutilizzati più volte.

E l’Italia si trova in una posizione di forza. Siamo infatti tra le prime cinque principali economie europee per quanto riguarda produzione, consumo, gestione dei rifiuti, mercato delle materie prime seconde, investimenti e occupazione.
Questo emerge dal Rapporto nazionale sull’economia circolare 2020 in Italia, realizzato al Circular Economy Network (Cen) e dall’Enea, presentato oggi in streaming dal presidente del Cen Edo Ronchi e dal direttore del Dipartimento Sostenibilità dei sistemi produttivi dell’Enea, Roberto Morabito.

“Nell’economia circolare l’Italia si conferma tra i Paesi con maggior valore economico generato per unità di consumo di materia – ha detto Ronchi – Sotto il profilo de lavoro siamo secondi solo alla Germania con 517 mila occupati contro 659 mila. Purtroppo oggi registriamo segnali di rallentamento, precedente alla crisi del coronavirus: tra il 2008 e il 2017 gli occupati nell’economia circolare sono diminuiti dell’1%. Ed è un paradosso che, proprio ora che l’Europa ha varo il pacchetto di misure per lo sviluppo dell’economia circolare (in corso di recepimento nel nostro ordinamento) il nostro Paese non riesca a far crescere questi numeri”.

L’Italia di fatto utilizza al meglio le poche risorse destinate all’innovazione tecnologica, ma è penalizzata dalla scarsità degli investimenti, che si traduce in carenza di eco innovazione (siamo all’ultimo posto per i brevetti), e dalla criticità sul fronte normativo: mancano ancora la Strategia nazionale e il Piano di azione per l’economia circolare: due strumenti che potrebbero aiutare il nostro Paese anche ad avviare un percorso di ripresa per i danni economici e sociali prodotti dall’epidemia del coronavirus.

“Il Rapporto conferma che l’Italia sia ancora ai primi posti tra le grandi economie europee in molti settori dell’economia circolare – ha ribadito Morabito – Tuttavia corriamo il rischio di essere superati da altri Paesi. Serve un intervento sistemico con la realizzazione di infrastrutture e impianti, con maggiori investimenti nell’innovazione e con strumenti di governance efficaci, quali l’Agenzia Nazionale per l’Economia Circolare”.

Un segnale incoraggiante viene dalla bioeconomia che cresce di valore e peso complessivo. In Europa, secondo il Rapporto, ha un fatturato di 2 mila 300 miliardi di euro con 18 milioni di occupati nel 2015. In Italia le attività connesse alla bioeconomia registra un fatturato di oltre 312 miliardi di euro e circa 1 milione 900 mila occupati. I settori che maggiormente contribuiscono sia al valore economico che all’occupazione sono l’industria alimentare, le bevande, l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca.

Negli ultimi cinquant’anni, ricorda il Rapporto, l’intervento dell’uomo ha significativamente trasformato la superficie terrestre: il 33% dei suoli mondiali e degradato; ogni anno in Europa viene cementificata un’area di 348 chilometri quadrati (più della superficie di Malta). Secondo le Nazioni Unite nel decennio 2007-2016 le attività connesse all’agricoltura e altri usi del suolo sono state responsabili, ogni anno, di circa 12 miliardi di tonnellate di CO2 in atmosfera, un quarto dei gas serra globali. La difesa del suolo, delle foreste, delle risorse marine è un punto fondamentale per lo sviluppo di una bioeconomia rigenerativa, basata cioè su risorse biologiche rinnovabili e sulla resilienza degli ecosistemi.

Il messaggio è chiaro: la transizione verso l’economia circolare e la bioeconomia rigenerativa è sempre più urgente per la mitigazione della crisi climatica. Gli strumenti a livello europeo ci sono, ma occorre uno sforzo maggiore soprattutto a livello di risorse attraverso una nuova strategia per la finanza sostenibile così da incoraggiare la mobilitazione di capitali privati. Indispensabili, infine, secondo il Rapporto, la revisione della fiscalità e la riforma degli stessi meccanismi istituzionali dell’Unione europea.



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