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Cina, Russia, Israele. Parte la corsa per il vaccino anti-coronavirus

Il vaccino per fermare la tragica epidemia prodotta dal nuovo coronavirus SarsCoV2 è l’arma strategica del presente, che proietterà il Paese che vincerà la corsa su una posizione di forza da cui riscuotere dividendi di carattere politico globale e geopolitico.

Se “Primum vivere” è il motto del momento, ottenere una vaccinazione che potrebbe permettere di riavviare la nuova forma di vita normale per questo nuovo dopoguerra è cruciale. Il nuovo virus spaventa i cittadini, le immagini dei camion con i feretri che lasciano Bergamo vengono condivise in modo virale sui social network da utenti angosciati da ogni parte del pianeta, l’assenza di una contromisura al Covid-19 (la devastante sindrome respiratoria che il nuovo virus produce) manda in tilt i sistemi sanitari più avanzati. La pandemia è un elemento di instabilità sociale, dunque politica, spinta anche dalla crisi economica innescata. Il vaccino è visto come l’unico elemento in grado di far ripartire il sistema.

Ieri il Rospotrebnadzor (Servizio federale russo per la salute e i diritti dei consumatori) ha comunicato di aver iniziato i primi test umani, perché la Russia – che probabilmente non fornisce dati completi sulla diffusione del SARSCoV2 nel Paese – non vuole restare fuori da certe partite globali. Il centro di ricerca statale di Virologia e Biotecnologia Vector, parte del Rospotrebnadzor, “ha prontamente sviluppato prototipi di vaccini basati su sei diverse piattaforme tecnologiche”, ed è in studio anche “il metodo e il programma” per la somministrazione. C’è un pacco di elementi narrativi: la prontezza, le tecnologie, uno stato accorto e diligente che programma il mantenimento in salute dei proprio cittadini, per esempio.

Non è dato sapere quanto certe dichiarazioni siano effettive oppure parte di uno sharp power che i governi intendono spingere in questa fase critica. L’area americana più colpita dalla pandemia che l’amministrazione Trump ha inizialmente sottovalutato è quella di Seattle, ma forse è un caso se la prima a testare un vaccino negli Usa – una donna di 43 anni – è stata messa sotto programmazione sperimentale dal Kaiser Permanente Washington Health Research Institute, centro di eccellenza della Città del Vento, che sta sfruttando – dicono i portavoce dell’equipe di ricercatori all’Associated Press – fondi messi a disposizione dal National Institutes of Health.

Dalla Germania c’è il caso della CureVac, che – come spiega una nota della Commissione Ue – “ha già avviato il suo programma di sviluppo di un vaccino anti Covid-19 e si prevede l’avvio di test clinici a partire da giugno 2020”. CureVac è una spin-off dell’università di Tubinga che ha una sede anche a Boston: l’azienda è stata recentemente protagonista di una storia ambigua (e probabile che anche questa sia intrisa di elementi di guerra informativa). Secondo i media tedeschi, l’11 marzo sarebbe stata necessaria una irruente sostituzione del Ceo, un americano, con un commissariamento tramite il fondatore, Ingmar Hoerr. Motivo: il precedente capo di CureVac aveva partecipato a una riunione alla Casa Bianca in cui l’amministrazione Usa avrebbe offerto grosse somme per l’esclusiva sui risultati del lavoro della compagnia sul vaccino. La notizia è stata smentita, ma è uscita su media che hanno solitamente un buon grado di affidabilità: potrebbe esserci qualcosa dietro la diffusione dell’informazione?

Nella corsa globale non può mancare la Cina. Pechino è il campione dell’infowar globale, quella con cui da untore vuole descriversi come benefattore che porta know how ed esperienze positive in giro per il mondo, mettendole a disposizione degli altri Paesi. Un’operazione enorme a cui manca l’elemento cruciale: il vaccino appunto. Secondo il South China Mourning Post – giornale indipendente ma di proprietà di Jack Ma, l’imprenditore che in Cina ha costruito l’impero globale Alibaba e ora sta sponsorizzando le sue azioni benefiche contro il virus – il segretario del Partito comunista cinese, il capo dello stato Xi Jinping, avrebbe dato ordini chiari. La Cina mondiale che Xi progetta “deve” avere il vaccino per prima, al lavoro gli scienziati dei laboratori militari.

Su tutta la partita però il vantaggio tecnico – stando a più fonti dell’ambiente medico-scientifico – è in mano a Israele. Lo stato ebraico aveva già sviluppato un metodo di vaccinazione orale (che sarebbe più comoda da somministrare) alla SARS, una sindrome del tutto simile a quella di cui soffrono i casi più acuti in questi giorni e prodotta sempre da un coronavirus – si ricorderà l’epidemia del 2003, anche quella partita dalla Cina. Il laboratorio Migal della Galilea ha scoperto che c’è un ottimo fitting tra il vaccino sviluppato e le necessità attuali (secondo uno studio di Cell, SARS-Cov2 utilizza lo stesso recettore cellulare del virus della SARS).



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