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La logica del dono

Due sono le concezioni di volontariato presenti nel dibattito pubblico, oltre che in letteratura – concezioni entrambe legittime, beninteso, ma con implicazioni affatto diverse sul piano del modello di ordine sociale che si ha in mente di realizzare.
La prima concezione, che possiamo chiamare “additiva”, vede il volontariato come un settore societario che si aggiunge agli altri già in esistenza, tanto che più di uno studioso ha avanzato la proposta di dare vita ad un “quarto settore” distinto sia dal primo (mercato), sia dal secondo (Stato), sia dal Terzo settore (cooperative sociali, imprese sociali, fondazioni). I volontari andrebbero così ad occupare una nicchia ben circoscritta della società, una nicchia che manterrebbe rapporti di buon vicinato con gli altri tre settori, ma da essi separata.
 
La seconda concezione, invece, è quella “emergentista”, secondo cui quella del volontariato è una forma di agire che, una volta raggiunta la massa critica, va a modificare anche relazioni già in esistenza tra le altre sfere della società. L’immagine che subito viene alla mente è quella del lievito che, una volta aggiunto alla massa di pasta, la fermenta tutta quanta e non solo una sua parte. Per la concezione emergentista – che è quella accolta da chi scrive – missione specifica e ad un tempo fondamentale del volontariato è quella di costituire la forza trainante per cambiare il modo di funzionare delle istituzioni sia politiche sia economiche. Di operare cioè per la propagazione di una concezione non individualistica dell’identità personale secondo la quale l’altro non è una mera proiezione del mio io, un qualcosa di cui posso fare l’uso che voglio. A tale concezione, il volontariato oppone l’idea di una identità in relazione con l’altro, per la quale l’io si produce solo attraverso un processo di relazione con l’altro.
 
Il limite più serio della concezione additiva è quello di esporre il volontariato ad un duplice “strattonamento”, quello che gli viene dal pensiero neoliberista e quello che gli viene dalla posizione neostatalista, sebbene con motivazioni e argomenti tra loro molto diversi. I neoliberisti si appellano all’azione volontaria per portare sostegno alle ragioni del loro “conservatorismo compassionevole” al fine di assicurare quei livelli minimi di servizi sociali ai segmenti deboli della popolazione che lo smantellamento del Welfare state da essi invocato lascerebbe altrimenti senza copertura alcuna. Ma ciò genera un paradosso a dir poco sconcertante. Come si fa a parlare in favore di comportamenti di tipo filantropico, come si fa cioè a incoraggiare lo spirito donativo quando la regolazione dell’attività economica attraverso il mercato viene basata esclusivamente sull’interesse proprio e sulla razionalità strumentale, vale a dire sull’assunto antropologico dell’homo oeconomicus? Solamente se la società fosse composta di individui schizofrenici ciò sarebbe possibile – individui talmente dissociati da seguire la logica del self-interest quando operano nel mercato e la logica della gratuità quando vestono i panni del filantropo o dell’operatore sociale.
 
Non intendo affatto negare che talvolta ciò possa accadere – come in effetti accade – ma nessun ordine sociale può durare a lungo se i suoi membri mantengono un codice dicotomico di comportamento, tenendo separate le sfere di vita personale. Il volontariato autentico risolve questo paradosso perché ci mostra che l’attenzione a chi è nel bisogno non è oggettuale, ma personale. L’umiliazione di essere considerati “oggetti” sia pure di filantropia o di attenzione compassionevole è il limite grave della concezione neo-liberista.
Non diverso è lo “strattonamento” che viene al volontariato dal pensiero neostatalista. Anch’esso genera un paradosso analogo, sia pure simmetrico. Presupponendo una forte solidarietà dei cittadini per la realizzazione dei diritti di cittadinanza, lo Stato sociale rende obbligatorio il finanziamento della spesa sociale. Ma in tal modo, esso spiazza il principio di gratuità, negando, a livello di discorso pubblico, ogni valenza a principi che siano diversi da quello di solidarietà, ad esempio al principio di fraternità. Ma una società che elogia a parole il volontariato e poi non riconosce il valore del servizio gratuito nei luoghi più disparati del bisogno, entra, prima o poi, in contraddizione con se stessa. Se si ammette che il volontariato svolge una funzione profetica o – come è stato detto – porta con sé una “benedizione nascosta” e poi non si consente che questa funzione diventi manifesta nella sfera pubblica, perché a tutto e a tutti pensa lo Stato sociale, è chiaro che quella virtù civile per eccellenza che è lo spirito del dono non potrà che registrare una lenta atrofia. Non si dimentichi infatti che la virtù, a differenza di una risorsa scarsa, si decumula con il non uso. L’assistenza per via esclusivamente statuale tende a produrre soggetti assistiti ma non rispettati, perché essa non riesce ad evitare la trappola della “dipendenza riprodotta”.
 
Sono dell’idea che il volontariato deve opporre resistenza a queste due contrapposte sirene, pena la sua progressiva irrilevanza e uscita di scena. La sfida che esso deve raccogliere è quella di battersi per restituire il principio del dono come gratuità alla sfera pubblica. Per dirla in altro modo, il contributo più significativo che, per gli “emergentisti”, il volontariato può dare alla società è quello di affrettare il passaggio dal dono come atto privato compiuto a favore di parenti o amici ai quali si è legati da relazioni a corto raggio, al dono come atto pubblico che interviene sulle relazioni ad ampio raggio. A ciò devono mirare l’advocacy (cioè la denuncia di quel che non va) e il counselling (cioè il coraggio di avanzare proposte concrete di intervento) che sono le modalità primarie, anche se non uniche, dell’azione volontaria. Il volontariato autentico, affermando il primato della relazione sul suo esonero, del legame intersoggettivo sul bene donato, deve poter trovare spazio di espressione ovunque, in qualunque ambito dell’agire umano e non solamente in una nicchia particolare.


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