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Il prezzo è ingiusto

«Chi sbaglia paga», ha sentenziato ieri Umberto Bossi, costretto a lasciare la guida della Lega Nord perché toccato in modo pesante – anche personale, anche familiare – dallo scandalo della gestione allegra dei fondi del suo partito. Visto che ancora una volta si tratta della privata gestione di soldi provenienti dal pubblico erario, è fin troppo facile annotare che, in realtà, sbuffando, Bossi per ora si fa solo di lato mentre il Carroccio sbanda a ripetizione, e a “pagare” siamo noi. Paghiamo come cittadini, come elettori e come contribuenti per un errore (ricordiamocelo: chi sceglie male, anche votando, paga due volte…) che, però, non è esattamente e solo nostro. L’errore, infatti, grava per la massima parte su altre spalle. Quelle di coloro che in appena 18 anni – dopo essersi vestiti di sgargiante, e spesso arrogante, “nuovismo” – sono riusciti a replicare e persino ad aggravare certi vecchi vizi della politica. Gli stessi vizi che, dopo quasi mezzo secolo, nel 1993-94 portarono alla fine della Prima Repubblica.
 
È vero, avevamo ormai capito da un po’ che anche la cosiddetta Seconda Repubblica era agli sgoccioli. Ma che il crepuscolo sarebbe stato così fosco, concitato e senza gloria lo stiamo scoprendo poco a poco. Dando fondo alla nostra residua capacità di sorpresa. E attingendo a una riserva d’indignazione che si alimenta ogni giorno di più alla fonte dei sacrifici a cui siamo chiamati in questo tempo difficilissimo. Come non tornare, allora, a chiedersi che cosa sarebbe stato della “nave Italia” se, in simili frangenti, al timone non ci fossero i “tecnici” capitanati da Mario Monti? Come non rendersi conto che se lo scorso autunno non ci fosse stata la resa della vecchia, inconcludente e rissosa logica politica davanti alla martellante offensiva del Generale Spread, oggi saremmo con mezzo governo abbondante sotto inchiesta e due terzi di Parlamento (e un bel po’ di opposizione extraparlamentare) ancor più sotto choc? Come non prendere atto, finalmente, a onta di certa ritornante e desolante retorica bossiana, che l’unica “secessione” perseguita e infine realizzata nella nostra vicenda nazionale è quella tra una politica indegna di questo nome e una società italiana stanca di indegnità?
Come non capire, soprattutto, che chi non cambia e non cambia adesso – cioè non è disposto a “ridare le chiavi” della politica e delle case dei partiti ai cittadini e, comunque, non è capace di aprirne porte e finestre e non si risolve a smagrirne le casse – non sta perdendo solo se stesso e la propria parte, ma sta mandando alla malora un bene più grande e di tutti: la nostra democrazia. Politici degni non possono accettarlo, noi non dobbiamo. Il prezzo non è giusto.
 


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