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La cattiva regola dell’eccezione

Fra partiti del Sud e del Nord, primarie, congressi e costituenti non si può dire che la pace alberghi nella politica italiana. Ma, se è verosimile immaginare che in autunno molti nodi saranno sciolti (la guida del Pd, le alleanze dell’Udc e l’assetto di Pdl e governo), il realismo impone di guardare con preoccupazione alla continua lacerazione del sistema istituzionale, che peraltro non è che l’anticipazione delle difficoltà del tessuto economico e produttivo. L’Italia negli ultimi quindici anni ha registrato un’asimmetria crescente fra Costituzione formale e sostanziale: una divaricazione che provoca conflitti ma anche il progressivo svuotamento della politica. Il governo del Paese, se da un lato risente della forte personalizzazione della leadership (che guida l’esecutivo e sceglie la maggioranza dei legislatori), dall’altro deve fare i conti con una frammentazione mai vista prima. Non si tratta solo di dover trovare un equilibrio fra la cessione di sovranità verticale, verso l’alto (globalizzazione) e verso il basso (federalismo): la polverizzazione del processo decisionale è avvenuta anche in senso orizzontale. A decidere le sorti della nostra vita quotidiana (in particolare per l’economia) più del Parlamento può il Tribunale, e in particolare quello amministrativo come il Tar e il Consiglio di Stato. Siamo a quella che Luciano Violante su questa rivista chiama “giurisdizionalizzazione” del sistema. Secondo noi, è una patologia istituzionale di un’architettura che ha subito devastazioni, senza realizzare nuove ristrutturazioni.La seconda Repubblica si basa sul principio dell’eccezionalità. La stessa idea di premiership e di guida politica basata sul carisma del leader nasce come conseguenza alla straordinarietà – qui è detto senza accezione né positiva, né negativa – della figura di Berlusconi. Mentre si è rivelato un grande disinteresse per le regole e per la loro importanza, si è preferito fare leva sulla deroga. Così si spiega il senso dell’uso abnorme dei decreti legge, dei maxi emendamenti, del voto di fiducia. Ma anche il ricorso agli strumenti dei Commissari per le opere pubbliche come per le emergenze che di volta in volta affliggono il nostro territorio (dai rifiuti ai terremoti). Fa parte di questo modus operandi anche il ruolo assunto dalla Protezione Civile e dalle sue decisioni (un nuovo ministero del Tesoro, significativamente autocratico). Insomma, un Paese che negli anni ’90 voleva cambiare la propria politica per ritrovare una “normalità” è finito per fare della “eccezionalità” il suo valore fondante. D’altronde, non possiamo farci illusioni: un Paese senza regole, ovvero privo di istituzioni forti e ben regolate, alla fine collassa. Quella delle riforme non può essere una retorica ma la priorità delle priorità. Le regole possono apparire grigie e noiose ma, per parafrasare Andreotti, sono come la bassa pressione:“evitano il coccolone”.


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