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Ultima Chiamata

Un altro anno inizia con il puntuale dilemma delle riforme. Si riusciranno a scrivere e votare? Il clima di tensione, culminato nel ferimento del presidente del Consiglio e nel fallito attentato alla Bocconi, alimenta sia la speranza di una profonda presa di coscienza da parte dei partiti che il timore che non si riesca più a risalire la china. Il pessimismo della ragione non può cancellare l’ottimismo della volontà. Attendersi un guizzo da un gruppo dirigente che, nonostante le qualità dei singoli, ha prodotto più macerie di quante ne abbia ereditate, è un atto di cieca e ultima speranza. E’ proprio dal carattere di alcuni dei protagonisti di questa cosiddetta Seconda repubblica che ci si può attendere una conclusione meno peggiore di quella prevedibile.
Massimo D’Alema e Silvio Berlusconi sono ancora gli attori principali di un teatro politico che pure li ha molto consumati. Restano comunque i personaggi più rilevanti sulla scena. Anche se indeboliti, le possibilità di una riforma passano da loro due. Le opportunità in passato ci sono state ma non sono state colte. La Bicamerale è solo un esempio, ma il più eclatante. Non hanno avuto fiducia l’uno dell’altro e soprattutto Berlusconi ha preferito vincere il presente piuttosto che segnare il futuro. Il quadro oggi si presenta diverso. L’impressione (eufemismo per non dire certezza) che si sia arrivati alla fine della corsa può determinare un nuovo, positivo, slancio.
Il leader della sinistra italiana è sicuramente il più consapevole ed ha lanciato l’inequivocabile segnale di disponibilità a rimettersi in gioco. Dopo essersi esposto nel Pd per affermare la vittoria di Bersani ed archiviare la disastrosa parentesi di Veltroni-Franceschini, ha esplicitato di voler prendere le distanze dal populismo giacobino di Di Pietro ed ha esaltato la bontà di quello che viene detto in modo sprezzante “inciucio” e che invece è il fondamento di quella Costituzione tanto venerata e considerata come un tabù da quelli stessi che ritengono quel termine una parolaccia.
D’Alema ha quindi messo in campo gli argomenti giusti, sapendo rischiare l’ennesima fatwa ai suoi danni da parte degli integralisti (“azionisti”) della sinistra. Ora tocca a Berlusconi scegliere quale strada intraprendere. Continuare ad essere “un sughero che galleggia” oppure tentare una conclusione che lo lasci alla storia come autore di una riforma costituzionale. Quale sarà la sua scelta, non avrà alibi. Non potrà scaricare le colpe sugli alleati infedeli come Fini e Casini o sugli avversari comunisti. Dal Pd e dall’Udc giunge una sincera disponibilità a collaborare. L’inciucio, se alla luce del sole parlamentare e nell’interesse nazionale, potrebbe rivelarsi il piedistallo su cui Berlusconi può costruire il monumento di se stesso. Caro Cav., perché no?


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