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Digital war

Sosteneva Harold Lasswell che la propaganda aveva essenzialmente quattro scopi: mobilitare l’odio contro il nemico, preservare l’amicizia degli alleati, assicurarsi l’amicizia dei Paesi neutrali e, infine, demoralizzare il nemico. Riflessioni fatte negli anni successivi alla prima guerra mondiale, quando la propaganda cominciò ad essere studiata come fenomeno a sé.
Da allora molte cose sono cambiate, ovviamente. Tuttavia, oggi come allora, è sempre più vero che le guerre ed i conflitti vengono combattuti sia con le armi che con la propaganda. Certo, i resoconti di battaglie lontane sono stati sostituiti dalle dirette e dalle immagini che giungono in diretta via satellite o attraverso internet. Gli spettatori sono “dentro” i fatti. E quindi, ancor di più, guerre e conflitti sono anche guerre di immagini e, spesso, individuare il confine tra informazione corretta e propaganda risulta assai difficile.
Premessa necessaria per affrontare il tema della Cnn e di Al-Jazeera, due “colossi” dell’informazione internazionale, che non a caso vengono considerati – a seconda dei punti di vista o dell’appartenenza al mondo arabo o a quello occidentale – esempi mirabili di giornalismo e di capacità di essere presenti nei luoghi per raccontare le notizie, ovvero volani di propaganda, se non di disinformazione. Discussione del tutto legittima. Alla quale, però, io aggiungerei un’ulteriore riflessione: pur rimanendo dei giganti dell’informazione, Cnn e Al-Jazeera hanno attualmente perso quella centralità che aveva fatto sì che in molti casi, più che raccontare le notizie, fossero proprio loro “la notizia” o ad essere percepiti come tali. Spodestati, se vogliamo usare questo termine, dal web, che ha annullato il primato del satellite e riallineato “orizzontalmente” il potere delle immagini e la capacità di raccontare fatti ed eventi in diretta, da qualsiasi luogo del pianeta accadessero. Raccontare fatti o bugie, naturalmente. Ma senza più monopoli consolidati.
Così non era ancora nel recente passato. Basti pensare alla prima guerra del Golfo e ai bombardamenti di Baghdad raccontati e mostrati in diretta attraverso i collegamenti di Peter Arnett, o a come la Cnn, narrando in tempo reale il tentativo di colpo di Stato nell’Unione sovietica che si stava sgretolando, abbia di fatto creato il mito di Boris Eltsin, mostrando il “corvo bianco” che arringava la folla in piedi sopra un carro armato. E così tanti altri episodi, che hanno contribuito ad alimentare il mito della Cnn, quale corazzata invincibile, in grado di produrre scoop e di interloquire con tutti i grandi della terra.
Poi quella fase è venuta gradualmente meno con il progressivo emergere del giornalismo “embedded”, molto più allineato al potere e alle informazioni ufficiali o politicamente corretta. Tant’è che tra la prima guerra del Golfo, che aveva determinato la definitiva affermazione del “fenomeno” Cnn   e la seconda guerra contro l’Iraq, preceduta e alimentata da un’interminabile serie di disinformazioni e di propaganda piuttosto rozza, è avvenuta una sorta di passaggio di consegne nella percezione internazionale: il declino della Cnn quale leader dell’informazione globalizzata e la prepotente ascesa di Al-Jazeera, la tv del Qatar in grado di raccontare la guerra da “dentro”, senza le timidezze dei media occidentali allineati a Bush e, soprattutto, interna a quel mondo che aveva generato il conflitto post 11 settembre.
In quel periodo il successo di Al-Jazeera, come in parte detto, è stato determinato da una serie di fattori: il patriottismo interventista di molti media americani, tra cui la Cnn, che aveva in qualche modo minato la loro percezione di contropotere critico agli occhi dell’opinione pubblica internazionale più avvertita. Ma soprattutto il fatto che la “notizia” fosse il mondo arabo; l’islam, i movimento neo-jihadisti. Ossia – per usare una terminologia calcistica – il privilegio di giocare quella partita in casa. Non ultima la spregiudicata capacità di allacciare un rapporto stretto con Osama Bin Laden, il suo ideologo al Zawahiri e diventare il canale privilegiato per la diffusione dei video o audio-messaggi di Al-Qaeda. A questi fattori ne va aggiunto un altro: il dinamismo di una rete satellitare giovane, poco conformista (rispetto ai suoi omologhi arabi) e capace di intercettare in maniera intelligente la sensibilità anti-occidentale del mondo arabo, trovando un difficile equilibrio tra l’evidente simpatia verso la resistenza irachena, l’interlocuzione fin troppo benevola con la galassia qaedista e l’ossequio – nonostante qualche incidente – ai consolidati poteri arabi “moderati”, che hanno determinato la sua sopravvivenza in un contesto in cui le censure sono assai veloci e disinvolte.
Non a caso, così come la Cnn è stata descritta come la voce del potere statunitense, su Al-Jazeera sono piovute accuse e critiche: megafono di Bin Laden, strumento della propaganda filo-jihadista o anti-occidentale,  televisione propalatrice di disinformazione nei confronti dell’occidente. Accuse che spesso nel campo interno – quello arabo – sono state lette come elogi e hanno trasformato Al-Jazeera nella televisione che è riuscita a dare voce e volto alle sofferenze delle diseredate masse arabe.
La rapidissima innovazione tecnologica, però, sta cambiando nuovamente gli scenari. Come detto poc’anzi, sia la Cnn che Al-Jazeera rimangono delle corrazzate in grado di influenzare le opinioni dei loro fruitori. Basti pensare al ruolo che la tv del Qatar ha recentemente avuto nell’alimentare l’ondata di sentimenti anti-cristiani dopo il discorso di papa Benedetto XVI a Ratisbona, il cui significato è stato ampiamente manipolato. Tuttavia, in questa fase, con la graduale affermazione della multimedialità, si sta affermando una comunicazione dal basso. Confusa, artigianale e un po’ anarchica che proprio per questo, paradossalmente, è ancora difficilmente controllabile. Se si fa una prima analisi dell’informazione di guerra rispetto alla recentissima crisi di Gaza, si potrà vedere che mentre i casi che si possono citare di disinformazione e propaganda sono numerosissimi, Cnn e Al-Jazeera non hanno avuto un ruolo decisivo. La battaglia mediatica è passata “anche” attraverso quei canali, ma non prevalentemente.
 Questo cosa sta a significare? Paragonando l’informazione alla guerra, possiamo dire che tra satelliti, radio, giornali e internet sta accadendo quello che sui campi di battaglia è accaduto dalla seconda guerra mondiale in poi. E cioè, dalla guerra “classica” combattuta tra eserciti regolari su fronti contrapposti, si è passati alla guerra non ortodossa ovvero guerra asimmetrica, combattuta un po’ ovunque, senza un fronte e un esercito ben individuabili. Nel mondo della comunicazione questa è la tendenza. Quindi la vera sfida della propaganda, ovvero di come continuare a controllare l’opinione pubblica, è rinchiusa nella capacità non tanto di gestire e condizionare le fonti primarie (sfida che per le dimensioni è alquanto impossibile, essendo ormai un qualsiasi cittadino del mondo in possesso di un telefonino, o di una camera digitale un potenziale testimone/reporter) quanto di avere il controllo dei punti di aggregazione, là dove i fatti e le immagini diventano notizie. Detto ancor più chiaramente, con le nuove tecnologie attualmente ogni occhio può diventare foto e immagine. Ma se l’immagine è destinata a rimanere isolata o ad essere confinata in uno delle milioni e milioni di pagine web, allora sarà come inesistente. Al contrario, gli “aggregatori” possono sfruttare questa situazione per creare la notizia o alimentare campagne. Basta solo sapientemente scegliere ciò che utilizzare o che scartare per dare un orientamento. Del resto è ampiamente studiato nella scienza delle comunicazioni che, spesso,  è la domanda – per come è formulata – a poter orientare la risposta.
Non so come andrà a finire. C’è una scuola di pensiero che sostiene che con internet le barriere sono finite e la libertà trionferà. You Tube è citato come un esempio. Io temo che le cose siano un po’ più complicate. E che comunque i buoni “aggregatori” saranno in grado di condizionare le opinioni pubbliche di riferimento nel costruire un sistema ingegnoso e cross-mediale in grado di coniugare l’informazione di base con la sua rappresentazione – filtrata – finale. Previsioni non ne faccio, perché i cambiamenti si sono fatti repentini e radicali. Ma non mi sento di escludere che nel medio periodo disinformazione e propaganda potranno vincere (od essere vanificati) grazie a strumenti come Google. C’era la guerra convenzionale, ora c’è la guerra non-ortodossa o asimmetrica che sia.
  


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