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Regionali, il Pd rischia la crisi (il governo no). Parla Lina Palmerini

Una cosa è certa: comunque vada, non si torna allo status quo. Le elezioni regionali e il referendum sul taglio dei parlamentari non sono uno dei tanti banchi di prova del governo Conte bis. Sono il banco di prova. Da quando è nata un anno fa, la maggioranza rossogialla non ha mai rischiato di traballare tanto. Parola di Lina Palmerini, firma politica del Sole 24 Ore, attenta osservatrice della politica italiana e di tutto ciò che accade intorno al Quirinale.

“Una premessa: è difficile che il governo possa cadere, qualunque sia l’esito. Semplicemente perché nessuno vuole che cada”, dice a Formiche.net. Certo, pensare che una batosta di Pd e Cinque Stelle non abbia ripercussioni sarebbe un grave errore. Il primo a incassare il colpo di un flop sarebbe proprio il premier Giuseppe Conte. Perché, spiega Palmerini, “si è esposto su tutti e due i fronti. Ha chiesto l’alleanza organica fra i partner di governo, e ha pubblicamente annunciato che voterà sì al taglio. Sarà lui anzitutto a dover metabolizzare un’eventuale sconfitta”.

I sondaggi dell’ultima ora non fanno sorridere dem e grillini. Se la Puglia di Michele Emiliano è insidiata dalla cavalcata di Raffaele Fitto, è in Toscana che si gioca il tutto per tutto. Non a caso nelle ultime settimane buona parte dello Stato maggiore al Nazareno si è trasferito da quelle parti. “La Toscana è un simbolo, una roccaforte rossa. Una sconfitta può toccare nervi scoperti dentro al Pd, e portare a galla i mal di pancia su un anno di convivenza con i grillini”.

Due incognite incombono sul voto toscano, dice Palmerini. La prima: “Non sappiamo se e di che entità sarà il voto disgiunto. L’elettorato grillino c’è, Livorno è stata una delle prime città conquistate. Sarà interessante contare le defezioni”. La seconda: Matteo Renzi. “Per lui è una prova del fuoco – dice la giornalista del Sole – è meno esposto del Pd, ma è pur sempre il primo test elettorale per Italia Viva, per di più in casa sua. Se ne esce male, il suo ruolo di perno del governo viene meno. Sono già lontani i tempi della sfiducia a Bonafede che teneva col fiato sospeso la maggioranza”.

Se il bastione toscano dovesse crollare, ecco che si aprirebbe “una resa dei conti” dentro al Nazareno, con Nicola Zingaretti nell’occhio del ciclone, e Stefano Bonaccini pronto a bussare al portone della segreteria. “Ormai il presidente dell’Emilia-Romagna ha una proiezione nazionale. E poi non ha grandi rivali. Un tempo la concorrenza era spietata. Pesi da 90 come Veltroni, Bersani, poi Renzi, Letta. Adesso lui ha le carte in regola”.

Insomma, il rischio di un terremoto è concreto. Ma, avvisa Palmerini, chi già pregusta il cambio alla guardia a Palazzo Chigi rischia di rimanere a bocca asciutta. “Anche se una sconfitta in Toscana dovesse togliere il posto a Zingaretti, non ci sarebbe un neo-segretario pronto a staccare la spina al governo. Ci sono 209 miliardi di euro dall’Ue da spendere. È questa l’occasione per mettere in campo un vero programma di centrosinistra”.

Né sarà il presidente della Repubblica a staccare quella spina. Parola di quirinalista: “Ho sentito Giorgia Meloni invocare Mattarella, chiedere di prendere atto di un eventuale sconfitta della maggioranza alle regionali. In Costituzione non è previsto nulla di questo. Sono i partiti, semmai, a doverne prendere atto. Finché c’è una maggioranza in Parlamento, il capo dello Stato non può fare colpi di mano”. L’orizzonte del Colle si staglia più in là. “In questi anni Mattarella è stato attento a non far deragliare l’Italia dalla sua collocazione europea. Continua a farlo, come dimostra l’incontro con il presidente tedesco Stenmeier. Una crisi al buio, nel mezzo di una crisi europea, è l’ultima delle opzioni”.



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