Un sintomo. Soltanto un sintomo. Ma rivelatore di una tendenza che potrebbe allargarsi, dilagare fino a stravolgere gli equilibri politici attuali. Il referendum costituzionale che prevede il taglio dei parlamentari ha innescato una piccola, ma tutt’altro che irrilevante rivolta, nella destra profonda che non si riconosce nelle posizioni di Fratelli d’Italia favorevoli alla significativa riduzione della rappresentanza parlamentare ed ha deciso di esplicitare, non proprio sommessamente, un dissenso ed un disagio che giorno dopo giorno sono diventati profondi.
Prima una pattuglia di ex-parlamentari del Msi e di An, poi un po’ d’intellettuali d’area, infine politici contigui alla destra, ma provenienti da altri lidi, sono riusciti a mettere insieme, in una manciata di giorni, ben cinquecento firme, utilizzando soltanto una chat telefonica e privi di qualsivoglia coordinamento e perfino di un minimo di organizzazione. Una protesta spontanea; una proposta sentita; una sollevazione contro quello che ritengono un “tradimento” da parte della destra istituzionale e parlamentare che si è accodata ai Cinquestelle nel sostenere le “ragioni del Sì”.
Ne ha dato conto la stampa “leggendo” l’iniziativa nella maniera più corretta: l’avvisaglia di una discussione tutt’altro che velleitaria originata da un rilevante evento politico che ha messo in rilevo la punta di un iceberg che nessuno può sapere quanto sia profondo e vasto.
Il sintomo, tuttavia, testimonia ancora dell’altro. Che una Destra nuova, diversa, aperta, dialogante, non dimentica della sua stessa tradizione culturale è possibile in Italia, in questi frangenti, in questo stato di confusione mentale che ha contagiato la politica. E non solo come testimone sterile, ma come fattivo soggetto di rinnovamento di un’area politica che, se organizzata, può contare nel Paese su un numero rilevante di simpatizzanti e forse di elettori.
Del resto quando, come è accaduto, la Destra parlamentare (o qualcosa che le assomiglia) si schiera a favore dell’antipolitica abbracciando l’ipotesi del taglio dei parlamentari, senza considerare tra l’altro, le deficienze istituzionali che comporterà il provvedimento qualora il responso referendario dovesse essere favorevole, vuol dire che qualcosa si è geneticamente modificato nelle sue file. Nessuno, neppure i più vecchi ed avveduti, hanno avuto riguardo ad uno dei capisaldi teorici e pratici della destra moderna: la partecipazione. Qualcuno ricorderà che è stata per oltre cinquant’anni declinata in tutti i modi possibili, ma soprattutto in termini di apertura della rappresentanza (vedi presidenzialismo) al punto di prefigurare perfino una Camera delle regioni, delle competenze, delle categorie che fosse lo specchio del Paese. Come è stato possibile che un punto qualificante della politica della destra sia stato bruciato davanti all’illusionismo antipolitico dei pentastellati che saranno gli unici, se le cose dovessero andare come immaginano, a guadagnarci in termini di protagonismo, provando a risalire la china intrapresa da un anno?
Non credo sia stato soltanto un errore di valutazione ad indurre il partito della Meloni alla scelta referendaria per il SÌ. La suggestione di un centrodestra a trazione salviniana è possibile che abbia indotto FdI ad uno strabismo politico motivato da ragioni prettamente di potere (giustificatissime peraltro), impedendo però alla sua classe dirigente di valutare il dividendo che ne sarebbe ipoteticamente derivato, vale a dire l’egemonia su una coalizione che di fatto non esiste se non come cartello elettorale e su questo piano la Lega non è certo disposta a dare più di quanto è lecito attendersi in costanza di una legge elettorale dalle molte incognite e soprattutto nella nuova geografia che imporrà una disputa tutt’altro che indolore nell’attribuzione delle candidature, a meno che non si adotti un sistema proporzionale puro in tempi utili prima che la legislatura termini.
E questo è un altro punto che avrebbe dovuto indurre la destra istituzionale ad atteggiarsi in maniera diversa. Ma come, chiede ogni giorno le elezioni e non capisce che con la disfatta del fronte del Sì (M5S e Pd) le Camere verrebbero sciolte un minuto dopo? Inquietanti ed indecifrabili ragioni ci fanno accantonare qualsivoglia possibile risposta.
Della destra che non c’è, ma che potrebbe esserci, come testimoniano i fermenti di queste settimane, con alle viste la formazione di nuovi soggetti partitici, associazioni, movimenti territoriali e di opinioni, gruppi di intellettuali disorganici rispetto a qualsiasi organizzazione partitica, credo che si parlerà a lungo. In politica niente è definito per sempre, figuriamoci di questi tempi…
E giacché ci siamo, chiediamoci pure che senso ha per una qualsivoglia Destra sostenere l’autonomia regionale rafforzata, anticamera della secessione, mentre ci si professa “sovranisti” se non nazional-conservatori o riformisti nel senso che dovrebbe essere accentuata la critica al regionalismo, sentina di quasi tutti mali italiani e responsabile principale della dilatazione non più contenibile del debito pubblico, oltre che responsabile del conflitto ormai endemico tra Stato e Regioni con conseguenze giuridiche e politiche che sono a fondamento dello scadimento istituzionale nel quale siamo immersi.
Votare No al referendum significherebbe aprire sostanzialmente la strada ad un sano ed aperto confronto a destra e tra le destre. Senza farsi nessuna illusione. Nella certezza che una destra che sia ideologicamente, idealmente, politicamente tale, senza equivoci e confusionismi, ci vuole. Anzi, è necessaria.