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Verso la green landscape economy

Il risultato dell’ultimo referendum nazionale sul nucleare ha dato un importante segnale circa la posizione degli italiani sul tema dell’energia e non solo.
Diventa sempre più urgente un vero e proprio programma energetico nazionale capace di coniugare le esigenze energetiche con quelle paesaggistiche. La Germania lo sta facendo puntando tutto sulla green economy e ponendosi l’ambizioso obiettivo di produrre l’80% dell’energia elettrica da fonti rinnovabili entro il 2050, discutendo apertamente anche sul tema delle trasformazioni territoriali.
Anche in Italia i casi di successo non mancano, nelle aree metropolitane ma ancor più nei “territori aperti”, colpiti da un continuo svuotamento demografico e da una sostanziale perdita di identità, che hanno saputo trovare nelle energie rinnovabili uno strumento di marketing territoriale oltre che un vero e proprio motore di sviluppo sostenibile.
 
Ormai famoso è il caso del piccolo Comune di Tocco Da Casauria, ai confini del Parco nazionale della Maiella in Abruzzo, che ha conquistato la prima pagina del New York Times diventando un simbolo della green economy internazionale, senza interferire con il suo paesaggio di riferimento.
Tocco produce tutta l’energia di cui ha bisogno con 4 mulini a vento, che girano 24 ore al giorno e che garantiscono al Comune il ritorno economico che rende conveniente questo modello.
Un connubio virtuoso tra tradizione e innovazione, tra economia rurale e hi-tech tanto che i mulini sono diventati ormai parte integrante del paesaggio, grazie anche al fatto che non spiccano sul crinale, come in altri frequenti casi, ma sono appoggiati sensibilmente su un pendio coperto da ulivi.
Un altro esempio virtuoso è quello della comunità montana della Val Sabbia, nel bresciano, che ha costruito la più grande centrale fotovoltaica pubblica d’Europa, che distribuisce elettricità gratis a tutti gli uffici municipali, alle strade, ai semafori e alle scuole.
 
Con creatività, innovazione e velocità (sei mesi) al posto di tredici capannoni dismessi e pieni di amianto sono stati installati 24mila pannelli fotovoltaici, posati seguendo il più possibile l’andamento del terreno, tra gli alberi, in modo da valorizzare il più possibile gli elementi del paesaggio.
In effetti da lontano sembra quasi un lago, un “lago di luce” (come titolava il Corriere della Sera il 28 aprile scorso) tra i boschi della Val Sabbia risanata che, oltre a fornire energia elettrica, diverrà un Parco delle energie rinnovabili, dove tra prati, siepi e ruscelli le nuove generazioni potranno imparare e sperimentare direttamente il funzionamento delle nuove tecnologie. Ancora una volta quindi il tema delle energie rinnovabili si lega a quello della valorizzazione del territorio e del paesaggio, verso una vera green landscape economy nella quale il paesaggio diventa un elemento centrale, un motore di un rinnovato sviluppo territoriale e socioeconomico.
 
Un approccio che si inserisce perfettamente nella soft economy, così chiamata da una ricerca promossa dalla Fondazione Symbola e Unioncamere di recente presentata a Montepulciano, dove la bellezza dei luoghi, la ricchezza del patrimonio storico, culturale e ambientale sono componenti fondamentali della sfida della qualità.
Si tratta di lavorare nei territori e con i territori, cioè valorizzando innanzitutto le risorse locali, prima tra tutte il paesaggio che non è altro che lo sguardo della cultura rivolto al territorio, che attraverso questi occhi è capace di cogliere potenzialità inesplorate, ricchezze inespresse, decifrandone ogni possibile intenzione. Con la scoperta di queste potenzialità, si possono sviluppare progetti che mettano in connessione i diversi attori e che su questo circuito virtuoso ne attraggano altri che, agganciandosi a questo rinnovato modello di sviluppo, sappiano trasformare l’originalità e la specificità di un paesaggio in uno straordinario, ma anche sostenibile, motore di riconversione.
Bisogna quindi immaginare un nuovo approccio capace di generare processi strategici che sappiano dare risposte immediate, ma in una logica di prospettive future.
 
Penso al progetto lungimirante della Regione Piemonte nelle Langhe del Barolo, dove si è attivato un processo di valorizzazione del paesaggio anche in vista della candidatura Unesco, o al lungo lavoro della Provincia di Gorizia per il Collio, un progetto che punta alla messa in rete delle risorse culturali, naturali ed agricole del territorio con il fine di ampliare le possibilità di fruizione turistica. La volontà è quella di attrarre un turismo sostenibile, lento, per questo si è pensato ad una rete di percorsi ciclabili che attraversano il territorio con i quali dare la possibilità ai turisti di “bere il paesaggio”. “Slow Collio: un paesaggio da bere” è infatti il motto del progetto, presentato più volte anche alla Bit di Milano (Borsa internazionale del turismo).
 
Oppure nel Carso, un paesaggio “invisibile” che, con il progetto Carso 2014+, cerca una nuova visibilità in occasione del centenario dall’inizio della Prima guerra mondiale. Una nuova visibilità non più legata alla guerra ma alla contemporaneità, attraverso tre progetti simbolici (sul monte S. Michele, a Redipuglia e sul lago di Doberdò) che, ci si augura, porteranno i giovani di tutta Europa a ripercorrere, con un rinnovato spirito di pace, le doline e i boschi di un Carso ritrovato.
Come non ricordare infine l’esperienza della rinascita postindustriale della Ruhr in Germania divenuta, attraverso l’operato decennale dell’Iba emscher park, capitale europea della cultura 2010.
Un esempio su tutti per dimostrare che serve una riflessione condivisa, aperta e coinvolgente, anche attraverso un confronto con esperienze internazionali di successo, affinché il territorio possa diventare a tutti gli effetti un nuovo motore economico, inserendosi a pieno titolo tra i filoni della green economy, soprattutto attraverso la rinascita di un nuovo paesaggio, onesta rappresentazione di un ritrovato rapporto tra cultura e natura, tra tradizione e innovazione.


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