Quando di mezzo ci sono i diritti umani, niente ambiguità. Lia Quartapelle, capogruppo del Pd in Commissione Esteri della Camera, lo dice senza giri di parole: non sono ammessi tentennamenti della politica estera italiana di fronte ai regimi autoritari. Dal caso Navalny ai fatti di Hong Kong, la deputata disegna una road map per Palazzo Chigi. E sul 5G cinese dice: non ci sono garanzie di sicurezza.
Sappiamo che Conte ha chiamato Putin. Ma i resoconti di Palazzo Chigi e del Cremlino sono molto diversi…
Non è inusuale quando si parla di Russia. Io in questo caso mi atterrei a quello italiano: sarebbe bizzarro se dessimo credito alle parole di Putin proprio ora. Sulla telefonata non farei retroscenismo: è avvenuta perché l’Italia ha diversi interessi da discutere con la Russia, inclusa la vicenda libica.
Tra i tanti temi, c’è l’avvelenamento di Alexei Navalny. Roma si è fatta sentire abbastanza?
Credo che sul caso Navalny il governo avrebbe potuto essere più solidale e fermo insieme a Francia e Germania, perché l’avvelenamento è un caso veramente eclatante di quale sia il tenore del dibattito interno in Russia. Con la Russia bisogna parlare, ovviamente. Ma la fermezza sui diritti umani non mette in discussione il dialogo, lo rafforza.
Se la Germania si è accreditata come “poliziotto cattivo” dell’Ue, l’Italia sembra fare il contrario.
Non lo scopriamo oggi, l’Italia ha storicamente avuto questo ruolo. Quello di iniziare a parlare per primi, di aprire la strada ad altri. Oggi la natura del regime di Putin e le sfide che abbiamo di fronte impongono un cambio di strategia. Non è più il tempo per le teste di ponte. Difendiamo il nostro interesse nazionale se siamo fermi nei nostri valori e uniti al fronte occidentale.
Capitolo Bielorussia: cosa può fare l’Italia per mediare?
La situazione a Minsk è molto delicata. La Bielorussia non è l’Ucraina. I bielorussi sono pacifici. Né antiamericani, né filoeuropei, semplicemente bielorussi. Questo va rispettato, evitando di tirarli in un gioco di sfere di influenza. Non vuol dire abbandonarli, ovviamente. I fatti sono sotto la luce del sole: ci sono stati brogli gravissimi, Lukashenko non gode del consenso della popolazione, il regime è responsabile di violenze e arresti arbitrari, perfino di un Premio Nobel per la Letteratura, Svetlana Aleksievich.
Quindi si può solo attendere?
No. Questa rivolta di popolo deve avere un precipitato politico, un percorso verso la democrazia. Deve essere supportato, e noi possiamo farlo prendendo contatti con le opposizioni, a partire dal Parlamento. Durante le Primavere arabe ci illudemmo che rivolta e democrazia fossero la stessa cosa. I fatti hanno mostrato la debolezza dell’equazione.
A proposito di rivolte, lei, insieme a diversi altri colleghi del Pd, si è esposta a difesa dei movimenti di protesta democratica a Hong Kong. Luigi Di Maio in conferenza stampa con l’omologo cinese Wang Yi ha battuto un colpo. Basta?
Basta sicuramente a ribadire ciò che diciamo da un anno. La politica estera di questo governo non è quella dello scorso. Questo è nato anche per riportare il Paese nell’alveo Ue e Nato. Siamo l’unico Parlamento che ha approvato all’unanimità due risoluzioni in Commissione e una in aula a difesa di Hong Kong. E le parole di Di Maio dimostrano che il Movimento non è più filocinese come viene descritto.
Gli Stati Uniti ora chiedono un passo in più: le aziende cinesi non devono entrare nella rete 5G. Secondo l’ex ministro Franco Frattini, l’Italia dovrebbe aderire al piano del governo americano “Clean networks”. Lei è d’accordo?
Premessa: le aziende cinesi sulla rete 5G non danno garanzie sufficienti di sicurezza. Per questo dobbiamo rafforzare i progetti per una rete europea e dotarci di quelle misure tecniche che proteggono la rete. L’Italia lo ha fatto, già a ottobre scorso. Il decreto cyber è stato il primo atto politico di questo governo. E su questa linea dobbiamo proseguire.