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Dal 5G cinese al Mediterraneo, se all’Italia manca la bussola. Parla Cicchitto

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Giocare d’anticipo, sempre. È una regola aurea della politica estera che l’Italia sembra aver dimenticato, dice a Formiche.net Fabrizio Cicchitto, presidente di Riformismo e Libertà, già a capo della Commissione Esteri della Camera. Dal caso Navalny alla crisi in Bielorussia, dalla corsa al 5G cinese alle tensioni nel Mediterraneo orientale, non è Roma a tenere le redini. Anche quando lo meriterebbe più di altri partner europei.

Cicchitto, partiamo dal fronte russo. Conte ha telefonato a Putin. Bielorussia, Libia e caso Navalny al centro. Troppo poco e troppo tardi?

Almeno abbiamo rotto un silenzio che iniziava a farsi imbarazzante. Quanto al ritardo, mi sembra evidente che andiamo a traino di altri, Germania in testa. E non solo sulla Russia.

A che si riferisce?

Cina, Libia, Mediterraneo allargato. La politica estera è allo sbando, soprattutto quando di mezzo ci sono i diritti umani. Anche gli altri Paesi Ue fanno affari con Cina e Russia, spesso più di noi. Ma il nostro è un caso singolare.

Perché?

Fino a un anno fa avevamo al governo un partito, la Lega, schiacciato su Mosca. Oggi i Cinque Stelle, in ginocchio a Pechino. Anche il Pd tace. Chi teneva alta l’asticella come Gentiloni ora è in Europa, Minniti vive un esilio in casa. Tengono botta solo Amendola e Guerini.

Citava la Cina. Di Maio ha pronunciato parole forti sulla repressione a Hong Kong con l’omologo cinese Wang Yi. Non le pare?

Certo, ma con grande, imperdonabile ritardo. Parliamo di Hong Kong e Taiwan da mesi. In politica estera i segnali si danno per tempo. Se di fronte al ministro degli Esteri cinese non avessimo detto una parola su Hong Kong sarebbe stato uno scandalo.

Ora una parola va detta sul 5G cinese. Il governo americano ha un piano, si chiama Clean networks. L’ex ministro degli Esteri Franco Frattini ha invitato l’Italia ad aderire. Concorda?

L’Italia deve rispondere sì. Si può dire di tutto dell’amministrazione Trump, ma quella del 5G è una partita decisiva che va ben oltre chi è oggi alla Casa Bianca. Su questo terreno l’Italia non può avere ambiguità, l’autonomia tecnologica dalla Cina è una priorità assoluta. Avremmo dovuto imparare la lezione durante la pandemia, quando abbiamo scoperto di colpo che Pechino ha il monopolio mondiale dei dispositivi medico-sanitari.

Chiudiamo con uno sguardo al Mediterraneo. In Libia l’Italia è in stallo?

È impantanata da ben prima di questo governo. Ma il vero tallone d’Achille della politica estera italiana in Nord Africa, oggi, è la Tunisia. Unico Paese con elementi di democrazia sia al governo che all’opposizione, ha atteso a lungo, invano, un cenno da Bruxelles e Roma. Adesso ce ne occupiamo, ma solo per i flussi di migranti.

Più ad Est, intorno a Creta, Grecia e Turchia sono a un passo dallo scontro. L’Italia partecipa all’esercitazione. Ha le carte in regola per mediare con Ankara?

Non più. Qui però va detto: se la Turchia è quella di oggi, bisogna ringraziare la Germani e gli altri Paesi nordeuropei per la loro pavidità. Anni fa, con Berlusconi al governo, l’Italia fu all’avanguardia a sostenere l’inserimento della Turchia in Europa, quando ancora era possibile. Il Nord fu di una singolare ottusità e razzismo. La Turchia è sempre stata attraversata da due dimensioni antropologiche: una europea e una islamica. Hanno scelto di umiliare quella europea, e oggi ne paghiamo le conseguenze.



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