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Ecco le sconfitte più cocenti della cristianità. Parla l’Arcivescovo Negri

I cattolici italiani hanno perso la battaglia, due volte. A dirlo è monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara-Comacchio, storico esponente di Comunione e Liberazione e da anni protagonista attivo del dibattito sulla presenza dei cattolici in politica. In una lunga riflessione pubblicata sulla Nuova Bussola Quotidiana, Negri sottolinea come “la cristianità italiana sia quasi inebetita”. E ciò nonostante il trentennio di “grande Magistero di Giovanni Paolo II” e “gli anni non meno intensi e suggestivi di Benedetto XVI”. Per questa cristianità, nota il prelato, “si profilano due sconfitte lancinanti che riempiono la mia vita di vergogna”. La prima sconfitta si è ormai compiuta e si è concretizzata nella percezione secondo cui “la cultura rappresenta una realtà autonoma dalla fede”. Così che, scrive ancora Negri, “con la cultura, nella migliore delle ipotesi, si può accennare a qualche momento di dialogo o di cortile (il riferimento è al Cortile dei Gentili promosso dal cardinale Gianfranco Ravasi come luogo di incontro con i non credenti), espressioni che una adeguata razionalità e una adeguata consapevolezza di fede fanno fatica a definire nella loro obiettività”.

L’insignificanza della presenza cattolica in politica
Ma è sulla seconda sconfitta che il dibattito è destinato a riaprirsi in modo veemente. Si tratta dell’”insignificanza della presenza cattolica nell’agone sociale e politico”. Oggi, scrive l’arcivescovo di Ferrara-Comacchio, “è assolutamente insignificante nel panorama della vita italiana”. Il problema fondamentale è definire e riconoscere il politico cattolico. “Chi sono i cattolici che militano” in politica?, si chiede Negri. “Gente che personalmente la domenica mattina andrà a messa, che è a posto dal punto di vista di una certa devozione alla vita morale, a meno che non si tratti di vita matrimoniale, perché allora lì si aprono centinaia e centinaia di eccezioni”.

La missione del duo Wojtyla-Ruini
Parole che riportano la memoria indietro di qualche anno, alle battaglie dell’allora presidente della Conferenza episcopale italiana, Camillo Ruini. La presenza dei cattolici in politica, il loro ruolo, l’assunzione di responsabilità: era il programma che Giovanni Paolo II espose nel 1985 a Loreto, e che pochi anni dopo fu fatto proprio da Ruini. C’era allora la necessità – avrebbe detto anni dopo l’ex presidente della Cei – di riaffermare un  “dinamismo missionario e un’opera di inculturazione della fede in Italia affinché il cristianesimo continuasse a offrire il senso e l’orientamento dell’esistenza e la fede recuperasse un ruolo guida e un’efficacia trainante nel cammino verso il futuro”.

Più potere alle conferenze episcopali nazionali
Con l’avvento di Tarcisio Bertone alla segreteria di stato e la sostituzione di Ruini con Angelo Bagnasco, l’attivismo si era allentato. Bertone aveva riorientato la politica dei rapporti tra Santa Sede e Italia, cercando di avocare a sé la guida che prima era appartenuta a Ruini. Un disegno mai del tutto attuato, anche per le forti resistenze emerse nel vasto episcopato italiano. Progetto che oggi, con Papa Francesco, sembra essere definitivamente archiviato. Bergoglio – e lo ha ripetuto in occasione della professione di fede con i membri della Cei, lo scorso 23 maggio in San Pietro – vuole che a trattare con i governi siano le conferenze episcopali nazionali. Un mandato pieno che anche il riconfermato Bagnasco ha raccolto.

I principi non negoziabili
È sulla battaglia per i principi non negoziabili che si vedrà la capacità della Cei di incidere sulla scena politica. Monsignor Negri, nel suo intervento, osserva che questi principi sono ciò che caratterizza l’intervento di chi appartiene alla fede. Le ultime elezioni – prosegue Negri – hanno visto “la sagra dell’individualismo e dell’opinialismo. I cattolici hanno votato per tutti e a vantaggio di tutti, senza chiedersi se questo loro voto avrebbe poi significato eleggere delle presenze che avrebbero tutelato gli interessi della ragione e della fede, cioè dell’umanità”.



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