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L’Italia aderisca al Network 5G degli Usa. Franco Frattini spiega perché

frattini intelligence

Sulla partita della rete unica e del 5G viene prima la politica, poi i tecnicismi. Parola di chi nella sua lunga carriera istituzionale è stato sia un tecnico che un politico, e oggi conosce bene la differenza. Franco Frattini, già ministro degli Esteri e Commissario europeo, presidente del Copaco (attuale Copasir), oggi presidente di sezione del Consiglio di Stato, spiega perché i cavilli burocratici non sottrarranno l’Italia da una scelta di campo fra Cina e Usa.

Frattini, come si sblocca l’impasse sulla rete unica?

Servono tempi precisi. Non si può lasciare tutto nell’indeterminatezza. Se l’accordo non arrivasse nei termini corrispondenti all’interesse dello Stato, molto meglio ritornare sul mercato che ricorrere all’ennesima nazionalizzazione.

Ha ragione chi dice che serve uno Stato forte in un’infrastruttura così sensibile?

Certo che serve, ma non tanto come proprietario quanto come garante dell’interesse nazionale. Per questo bisogna rafforzare le verifiche preventive con chi si tratta, così come le misure di emergency breaking successive. Il ruolo dello Stato non è da demonizzare. Io preferisco il ricorso al mercato, se le cautele sono rispettate.

Quali cautele?

Alla Farnesina, ad esempio, istituii un comitato strategico per i fondi sovrani esteri che investono in Italia, di cui spesso ignoriamo le caratteristiche. Purtroppo non esiste più. Ma ci sono altri strumenti.

Ad esempio?

Il comitato di sicurezza finanziaria presso il Mef. Le ambasciate, l’intelligence. In Italia abbiamo la migliore intelligence economica al mondo. Si può capire prima con chi sta negoziando, senza scoprirlo in fase avanzata dei negoziati. Meglio una valutazione preventiva che marce indietro recessive. E comunque concordo con Bassanini: se non siamo in grado di analizzare negoziatore e contraente, la soluzione è tornare al mercato, non mettere tutto nelle mani dello Stato.

Lo Stato, o meglio il governo, ha intanto chiesto di sospendere l’offerta del fondo Kkr a Tim, con una lettera al Cda.

Una decisione irrituale, per usare un eufemismo. Non ho mai visto nella mia vita istituzionale in Italia e all’estero una cosa simile.

Peraltro è un fondo americano. E questo qualcosa deve significare…

Certo. Non si tratta di compiacere Trump o i suoi sostenitori. L’America non è solo l’amministrazione Trump, è molto di più. Ci si poteva attendere che ci sarebbe stata una vibrante protesta da parte del mondo diplomatico americano. E chi pensa che con l’eventuale arrivo di Joe Biden alla Casa Bianca le cose cambino si sbaglia di grosso.

Sulla vicenda è intervenuto prima Beppe Grillo con un duro post sul suo blog, poi il ministro Gualtieri ha rimesso la barra dritta. La domanda è: chi decide?

Escludo che Gualtieri segua le indicazioni del blog di Grillo. Per fortuna.

Passiamo al capitolo 5G, che in fondo non è così diverso. Spesso il governo sembra trincerarsi dietro i cavilli tecnici e burocratici. Ma scegliere se far entrare le aziende cinesi nella rete o meno è una decisione politica. O no?

Assolutamente. L’Italia ha già fatto una prima scelta politica aderendo alla nuova Via della Seta un anno fa, un progetto puramente geopolitico. Una scelta di campo che non ebbe eguali in Ue. Il perimetro cyber è un progetto sofisticato, la normativa italiana sulla protezione degli asset strategici è apprezzabile. Ma questi strumenti tecnici non possono sostituire da soli una decisione che spetta alla politica. Cioè se ammettere nel mercato più sensibile di tutti aziende legate a un Paese che non è più la Cina “neutrale” di Mao.

Il governo americano ha inaugurato l’iniziativa “Clean networks” (“Reti pulite”, ndr). L’Italia dovrebbe aderire?

Io credo di sì. Siamo in un momento storico in cui, anche per errori dell’amministrazione Trump e gravi mancanze dell’Ue, abbiamo visto indebolirsi un pilastro pluridecennale della politica estera italiana, cioè l’alleanza strategico-difensiva fra Ue e Usa. Non possiamo darle un’altra picconata, potrebbe essere fatale.

L’incontro di Luigi Di Maio con l’omologo Wang Yi dimostra che i rapporti diplomatici con la Cina vanno avanti. Ci sono delle linee rosse da tracciare?

La Cina è un importante partner commerciale, non un alleato. È significativo che una personalità di rilievo dell’establishment cinese abbia ritenuto di confrontarsi con un ministro degli Esteri italiano. Significa che hanno compreso che il perimetro cyber è un segnale rivolto a loro, e che sono già più lontani i tempi delle firme dei memorandum senza garanzie e contrappesi. L’unica linea rossa è quella di ribadire l’interesse nazionale, e di rispondere all’appello degli alleati qualora arrivasse. Di Maio lo ha sempre detto, qualcuno al governo un po’ meno.

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