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La nota aggiuntiva di Draghi. Analisi gustosa del prof. Pennisi

Il discorso fatto ieri a Rimini da Mario Draghi, al Meeting per l’Amicizia dei Popoli di Comunione e Liberazione, ha dato luogo a numerose interpretazioni, quasi che varie forze politiche volessero tirare per la giacchetta l’ex presidente della Banca centrale europea. Non sta certo a me dare un’interpretazione “autentica” al messaggio, o meglio ai messaggi, lanciati da Draghi e che hanno entusiasmato i giovani convenuti a Rimini. Proprio perché questa testata è letta soprattutto da giovani vorrei condividere un mio pensiero, un’analogia che molti giovani non ricordano o non hanno studiato.

I tempi e le circostanze sono notevolmente cambiati ma l’intervento mi ha ricordato la nota aggiuntiva che nel 1961 l’allora ministro del Bilancio e della Programmazione Economica, Ugo La Malfa, presentò alle Camere ad integrazione della Relazione Generale sull’Economia del Paese che il suo predecessore a Via Venti Settembre aveva appena pubblicato. Il 1961 fu anno di crescita, anzi l’anno con il più alto tasso d’aumento del Pil dal 1951 al 1975. Il messaggio della nota aggiuntiva fu lapidario, intenso e preveggente: questo è uno sviluppo che dobbiamo ordinare attraverso la programmazione, per risolvere alcuni fondamentali problemi del Paese. Un invito a guardare lontano particolarmente in un periodo in cui siamo travolti dalla recessione determinata in gran misura (ma non solo) dalla pandemia. Quindi, l’accento sui giovani, sulla qualità della spesa (e, di conseguenza, del debito per finanziarla), del binomio responsabilità e solidarietà, e dell’Europa e delle sue regole.

La Nota aggiuntiva alla Relazione generale sulla situazione economica del Paese 1961 era di 66 pagine e 13 tabelle per espletare quella che venne e viene ancora considerata la più ampia e autorevole proposta volta al risanamento degli squilibri del sistema italiano. L’intervento di Draghi è di poche tabelle e non è aggiuntivo al programma di riforme che l’Unione europea (Ue) ci chiede per avere accesso a quel Recovery and Resilience Fund sulla cui gestione il presidente del Consiglio ed i suoi ministri non riescono a trovare la quadra perché ciascuno vuole utilizzarlo per spese gradite al proprio elettorato. Il programma di riforme non è ancora scritto in attesa che queste dispute particolaristiche portino ad un accordo.

L’intervento di Draghi è un contributo importante ad avere una visione di lunga gittata, a guardare lontano. L’enfasi sui giovani indica alla priorità di una vera riforma della scuola, che non significa solo banchi monouso e calcestruzzo. Nessuno dubita che l’istruzione, a tutti i livelli, necessita di una profonda riforma, se non altro perché l’ultima riforma complessiva (firmata da Giovanni Gentile) risale a circa cento anni fa e da allora sono stati fatti solo vari rattoppi.

Problemi analoghi avevano Spagna e Irlanda quando progettavano di chiedere di fare parte di quella che sarebbe diventata l’Ue. Più o meno in parallelo presentarono programmi di riforma alla Banca mondiale perché li finanziasse. Accordi di prestito vennero stipulati per i due programmi. Gli esiti, però, furono differenti.

Draghi è stato in Banca mondiale e certamente lo ricorda. In Spagna, pochi mesi dopo la firma, ci fu una vera e propria sollevazione di categorie che ritenevano che il cambiamento li avrebbe danneggiati in termini di maggiore carico didattico, sforzo di aggiornamento (tramite corsi obbligatori), minor ruolo. In breve, la riforma venne cancellata (e il Segretario generale del ministero che la aveva perorata destinato ad altro incarico). Nonostante il governo proponesse di utilizzare il finanziamento per altri scopi sempre collegati all’istruzione, la Banca Mondiale cancellò il prestito. E chiese il rimborso delle poche somme già erogate. Più complessa la situazione nella Repubblica d’Irlanda, dove si trattava di creare un sistema di scuole secondarie statali con programmi ispirati a quelle delle scuole britanniche e tedesche in un contesto dove dominavano istituti paritari religiosi che ponevano l’accento sulle materie letterarie (e su quelle a carattere ecclesiastico). Ordini e congregazioni cooperarono (sapevano che i tempi stavano cambiando velocemente). La riforma andò in porto. E il finanziamento pure. La ministra Azzolina lo tenga bene in mente e presenti una vera riforma per portare i giovani italiani all’altezza di quelli degli altri Paesi Ocse: oggi la pubblicazione annuale Oecd Education at Glance ci ricorda puntualmente che siano gli ultimi in classifica.

Analogo l’accento sulla qualità della spesa. Come ho documentato nel libro La Buona Spesa – dalle opere pubbliche alla spending review pubblicato con Stefano Maiolo nel 2016, i metodi e le tecniche per distinguere la “buona” dalla “cattiva” spesa sono applicati da decenni in tutti i Paesi Ocse: perché in Italia ci sono stati solo esperimenti? Perché non vengono applicate dalle “strutture di missione” che pullulano a Palazzo Chigi e dintorni? Cosa fanno i consulenti pagati a questo scopo ed a misurare l’impatto della regolazione?

Parimenti l’Europa: il patto di crescita e stabilità verrà probabilmente aggiornato per tenere conto delle nuove condizioni, ma avremo voce in capitolo unicamente se avremo attuato, con successo, efficaci riforme strutturali.



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