Tre assolti, ma Salim Ayyash è stata condannato. Per il Tribunale Internazionale sul Libano lui , al di là di ogni ragionevole dubbio, ha partecipato all’assassinio di Rafiq Hariri. Ed è il suo il nome che entrerà nella storia del Medio Oriente, condannando per molti il Partito di Dio e il suo mandante, il presidente siriano Bashar al Assad.
Eppure lo stesso Tribunale ha ribadito che Siria ed Hezbollah potevano avere motivi per uccidere Hariri ma non c’erano evidenze per incriminarli. Questo è il punto che ha impressionato i più, sebbene sia noto che il primo inquirente internazionale che voleva incriminare Siria ed Hezbollah dovette lasciare: la sua linea avrebbe impedito, al di là di ogni ragionevole dubbio sebbene non si possa affermare, la costituzione del Tribunale Internazionale che aveva bisogno del voto del Consiglio di Sicurezza, senza voti contrari né astensioni. E fu istituito con la specifica di non poter incriminare né stati né partiti. Ora la sentenza c’è. E bisogna capire cosa significhi per il mondo il nome Salim Ayyash.
Era il primo settembre del 2013 quando Papa Francesco, riferendosi al terribile massacro chimico che aveva appena avuto luogo alle porte di Damasco, nella Goutha Orientale, disse: “C’è un giudizio di Dio e anche un giudizio della storia sulle nostre azioni a cui non si può sfuggire! Non è mai l’uso della violenza che porta alla pace”.
In queste parole non c’era nessun riferimento esplicito e diretto al delitto Hariri, che ebbe luogo numerosi anni prima, il 14 febbraio del 2005 e che oggi irrompe di nuovo sulla scena politica mondiale grazie alla sentenza del Tribunale Internazionale sul Libano. Ma il giudizio su questo crimine è un giudizio a cui non si può sfuggire e che riguarda tutto il cammino compiuto dall’ala apocalittica ed estrema del fronte filo-iraniano che origina proprio nel delitto Hariri e che arriva fino al 4 agosto scorso, quando è stato distrutto il tessuto islamo-cristiano di Beirut, la vita dell’ultima grande città che ha fatto grande il Levante del vivere insieme con le sue scuole, le sue università, i suoi ospedali pensati da missionari cristiani per una popolazione soprattutto musulmana e che così sono entrambi cresciuti nella consapevolezza di una duplice appartenga, islamo cristiana per gli uni e cristiano musulmana per gli altri.
Hariri è l’uomo che ci spiega la storia di Beirut come simbolo mediterraneo e che segue un corso quindicennale. Dal 1975 al 1990 si è svolto il primo quindicennio della storia autodemolitrice di Beirut, la guerra civile che ha devastato l’ordito comune. Ed è stata una guerra allo spazio ambiguo, promiscuo, di Beirut, città araba, europeizzata, moderna, mediterranea: come il Levante. Città né orientale né occidentale, devastata dagli opposti identitarismi che la odiavano. A questa fase è seguito il quindicennio di Hariri, cioè della ricostruzione, dell’incontro.
Dal 1990 al 2005 Hariri ha incarnato una ricostruzione e rinascita avviate con la sua capacità persuasiva che portò i leader musulmani ad accettare l’invito di Giovanni Paolo II al sinodo sul Libano. É stato Mohammad Sammak, suo consigliere per gli affari religiosi, a rappresentare e sviluppare questa visione fino a contribuire alla recente svolta dell’imam di al-Azhar basata sulla sua certezza che “l’Islam è la religione che crede in tutte le religioni”.
Infatti pochi ricordano che il delitto Hariri non si conclude in sé ma si completa con i successivi crimini perpetrati nello stesso identico modo a Beirut contro i principali leader e intellettuali cristiani che condividevano quella stessa visione.
Così ricordarli oggi diviene indispensabile: si tratta del più grande intellettuale arabo contemporaneo, Samir Kassir, del più intraprendente editore, Gebran Tuèni, del ministro che esprimeva la vecchia ala falangista, Pierre Gemayel, del segretario del vecchio Partito Comunista, Georges Hawi. E tanti altri. Pur nelle loro profonde diversità si erano uniti: perché sono stati rimossi per quindici anni?
Sono stati rimossi perché la loro storia è l’altra faccia della storia che è seguita, la storia che del terzo quindicennio, il quindicennio della nuova guerra civile che ha visto l’egemonia di Hezbollah, il partito che su indicazione di Assad ha eliminato Hariri e ha imposto la sua narrazione alla nuova devastazione che è andata dal 2005 al 4 agosto 2020. Questa devastazione si è presentata come uno scontro tra islam e laici, anche cristiani, ma è stata tutt’altro. É stata la storia del tentativo della conquista militare dell’Islam da parte di un’eresia, l’eresia khomeinista, che ha usato un’altra eresia islamica, quella wahhabita, per legittimarsi ai nostri occhi. Tenendo uniti a loro qui in Occidente ampie parti di estrema destra ed estrema sinistra, guarda caso.
Questa conquista khomeinista e apocalittica si maschera infatti di antagonismo, ma come ampia parte di estrema destra ed estrema sinistra non crede in questa sentenza ma ritiene il mondo corrotto e poi in realtà sogna lo scontro di civiltà come scontro che consentendole l’esportazione della rivoluzione la porterà ad accelerare la fine del mondo nella sognata Armageddon. Questa cultura assimila perché vuole conquistare. Il suo simbolo è il 4 agosto di Beirut, città detestata perché insopportabile. L’incontro che essa rappresenta sarebbe il fallimento del suo sogno. Che non è uno scontro tra cristianesimo e islam, ma tra una visione nemica del “mondo corrotto” e tutte le altre visioni, interne ed esterne all’islam.
Così compreso il delitto Hariri e la sentenza odierna ci riguardano in prima persona. Solo la teologia della fratellanza e delle diversità intese come parte della sapienza divina spiegano agli opposti integralisti come hanno tutti, da tutte le appartenenze, condiviso la responsabilità di chi dopo aver assassinato Hariri ha proseguito a tessere un disegno di scontro e identitarismo.
La fine di Hariri ha annunciato la guerra siriana, la partecipazione di tanti al disegno di annientamento del Levante all’ombra di Assad per imporre al mondo una visione di vera fede, laica o religiosa, che si oppone a false credenza e quindi a una falsa umanità. Tutto questo non poteva che cominciare nel centro simbolico del nostro mondo e il grande merito di Francesco e dell’imam al Tayyeb è quello di aver indicato a tutti, laici e religiosi, la strada del vivere insieme e di aver trovato la forza e la qualità per farlo per la prima volta insieme. Tutte le vite, i mestieri, i lavori, i commerci, le idee che sono stati travolti da questa ventata di distruzione apocalittica.
Il presidente Aoun ha già detto che non disarmerà Hezbollah: che quindicennio comincia in questo 18 agosto 2020?