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Il Presidente e Dagospia. Roberto D’Agostino racconta il suo legame con Cossiga

Francesco Cossiga è stato tante cose. Il giorno della ricorrenza del decennale dalla sua morte, tanti sono i ricordi delle persone – di ogni risma e provenienza – che in un modo o in un altro hanno avuto l’occasione di conoscerlo o di lavorare assieme a lui. C’è un fil rouge ricorrente però, che in un certo senso fa da cerniera a tutti i ricordi di Cossiga: la lungimiranza.

In questo, anche il ritratto che ci consegna Roberto D’Agostino, giornalista, opinionista televisivo e fondatore di Dagospia, non fa eccezione. Anzi, in un certo senso le parole di Dago, pronunciate a voce tenue con una pesante inflessione romana marchiano a fuoco questa peculiarità: “Cossiga non era mica uno come questi dilettanti allo sbaraglio – sentenzia – ogni volta che si parlava con lui era una lezione di geopolitica. Lui sapeva davvero cos’era la politica e, in qualche modo, stando accanto a lui, ho cercato di imparare qualcosa”.

Il primo ricordo che il fondatore del magazine ha dell’ex Presidente della Repubblica risale ai primi anni del 2000. “Quando aprii Dagospia – racconta – Cossiga mi venne a trovare accompagnato da Barbara Palombelli. Francamente io non avevo mai avuto in testa la politica, ne mi interessava averla. Anzi, da sempre curavo rubriche di costume ed ero intenzionato a continuare a coltivare il mio orticello. E invece, dopo i primi contatti con lui, capii che erano gli altri ad avere bisogno di un prodotto editoriale come Dagospia”. Dunque “a oltre cinquant’anni suonati, mi è toccato applicarmi a settori di cui prima avevo sentito parlare a malapena. Basti pensare ad esempio che non avevo mai comprato, prima di allora, il Sole 24 Ore…”.

Creare un terreno comune e instaurare un dialogo con un personaggio della caratura di Cossiga non doveva essere tanto semplice. Tanto che “i primi tempi mi facevo tradurre i suoi pezzi scritti in ‘cossighese’ da un amico giornalista per capirli. E poi mi trovai un giorno a frequentare un ‘corso’ di formazione politica accelerato. Cossiga mi spiego la vera anima della politica italiana. Gli equilibri, i movimenti, le persone che si vedono e che non si vedono”. L’ex presidente del Consiglio “mi insegnò che la politica non è quella che si legge sui giornali. Paludata, di palazzo. I processi decisionali che stanno alla base di molte scelte che condizionano e coinvolgono il Paese hanno origini e iter diversi”. Insomma la parte che non emerge. Silente e potente. “Il deep state – precisa Dago – . Dai servizi segreti (a cui Cossiga in un certo senso era legato storicamente) agli apparati militari, passando per il Viminale e la Consulta”. Di qui l’insegnamento metodologico. “Da Cossiga appresi che le informazioni non andavano mai chieste ai politici, bensì ai funzionari, agli uomini dell’apparato”.

Per mantenere un equilibrio, specie in quegli anni, occorreva prudenza. Specie per le conseguenze che potevano derivare da una frase dichiarata in un contesto consono o riportata erroneamente. “Tant’è che Cossiga non parlava mai al telefono – confessa D’Agostino – era terrorizzato dalle intercettazioni e preferiva parlare de visu. Per un periodo ho anche fatto da intermediario tra lui e altre persone alle quali consegnavo biglietti scritti in ‘cossighese’”. Anche in questo caso, un precursore assoluto di quello che è il pericolo dell’abuso delle intercettazioni telefoniche. Questa grande capacità di preconizzare eventi che poi si sarebbero verificati, a detta del giornalista, era frutto anche di “una grande cultura e di una grande conoscenza del nostro Paese.

Spesso gli facevo domande inerenti al rapimento e poi all’uccisione del presidente della Dc Aldo Moro. Per spiegarmi ciò che era successo Cossiga partiva sempre da un ragionamento di larghissimo spettro: dalla seconda guerra mondiale al patto di Yalta, passando per il Ventennio e il prezzo che un Paese sconfitto doveva pagare, specie in termini di sovranità. Insomma dal ‘Gattosardo’ (questo il nomignolo che il fondatore della rivista gli diede), Dago capì che “la politica non si esaurisce nella semplice lettura degli interessi nazionali. C’è molto altro. Primo fra tutti il cardine del ‘grande ricatto’ che muove tutti gli equilibri. Così funziona”.

A un certo punto della sua vita, esaurito il mandato quirinalizio “Cossiga assunse il ruolo di picconatore, sfruttando la sua visione e la sua capacità di anticipare gli eventi che di lì a poco avrebbero sconvolto per sempre il nostro Paese: Tangentopoli”.

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