Sembra calare il sipario sulla questione degli F-35 alla Turchia, al centro delle più complesse relazioni tra Ankara e Washington. Ieri, nel punto quotidiano sui contratti militari, il Pentagono ha annunciato che sarà l’Aeronautica a stelle e strisce a farsi carico dell’acquisto dei velivoli che Lockheed Martin avrebbe dovuto vendere ad Ankara. L’accordo, secondo quanto si apprende da DefenseNews, dovrebbe comprendere anche la riconfigurazione di sei apparecchi già dotati della livrea turca.
LA SOLUZIONE
L’accordo, del valore di 862 milioni di dollari e finanziato con i fondi dell’anno fiscale 2020 (già approvati), consentirà all’Aeronautica americana di acquistare otto F-35A (con decollo convenzionale) originariamente costruiti per la Turchia. Ad essi, come nota il sito specializzato, si aggiungono altri sei velivoli (sempre in versione A) destinati all’Usaf e i lavori di riconfigurazione, in catena di montaggio, dei jet progettati per Ankara. Parte integrante del programma di sviluppo e costruzione del caccia di quinta generazione, la Turchia avrebbe dovuto acquistare circa 100 apparecchi.
I NUMERI
Gli aerei in questione rientrano nel lotto produttivo numero 14, su cui Lockheed Martin e Pentagono si sono accordati lo scorso ottobre insieme ai lotti 12 e 13. In tutto, l’accordo ha riguardato 478 velivoli per 34 miliardi di dollari, comprendenti 291 velivoli per le Forze armate Usa, 127 per i partner internazionali tra cui la Turchia (e l’Italia) e 60 per Paesi clienti che acquistano il Joint Strike Fighter attraverso la formula del Foreign military sales. Sulla base di tale accordo, ogni F-35 costerà al contribuente americano poco meno di 78 milioni di dollari. Secondo DefenseNews, circa mezzo miliardo dovrebbe invece costare lo spostamento della catena di produzione dell’aereo dalla Turchia agli Stati Uniti.
IL NODO S-400
Questione cruciale dietro la decisione statunitense di escludere la Turchia dal progetto F-35, l’acquisto da parte dell’alleato turco del sistema missilistico antiaereo russo S-400, un dossier che continua a dividere Washington e Ankara. La questione è nota e dura da diversi anni, rappresentando uno dei nodi più intricati per l’Alleanza Atlantica, di cui la Turchia può vantare il secondo strumento militare in termini numerici. Più o meno un anno fa, le prime consegne del sistema russo alla Turchia surriscaldavano i rapporti con Washington, con il Pentagono ad avvertire dell’estromissione dal programma F-35.
LE DIFFICILI TRATTATIVE
Il caccia di quinta generazione è da sempre stata l’arma più forte nelle mani degli americani per riportare all’ordine lo storico alleato della Nato. Anche nei momenti più tesi, Erdogan ha rivolto apprezzamenti e parole dolci al velivolo, e nessun vertice turco si è detto felice di uscire dal programma. D’altra parte, sull’F-35 la Difesa di Ankara ha puntato con decisione, coinvolgendo una fetta importante del comparto industriale, per nulla intenzionata a perdere lavoro. Non a caso, lo scorso novembre, mentre Trump riceveva Erdogan alla Casa Bianca, il responsabile del Pentagono per il programma F-35 Eric Fick riferiva al Congresso di aver individuato le alternative ai contributi industriali offerti dalla Turchia. Nel frattempo, ci si adoperava per fornire una soluzione alle richieste di Ankara sulla difesa aerea, tornando a promuovere il sistema Patriot. Eppure, da Ankara la decisione a procedere con l’S-400 è stata irremovibile.
LE MOSSE USA
Per questo gli Usa sono andati avanti con l’estromissione dal Joint Strike Fighter, proponendo soluzioni più o meno drastiche alla questione. Alla fine di giugno, il senatore repubblicano John Tune ha proposto un emendamento al National defense authorization act del 2021, ovvero la legge che autorizza le spese per la difesa del prossimo anno, che consentirebbe agli Stati Uniti di acquistare il sistema S-400 presente in Turchia. “Penso che l’acquisto da parte degli Stati Uniti degli S-400 dalla Turchia sia il modo più intelligente per tirare fuori Erdogan dalla situazione in cui si è cacciato”, ha affermato Jim Townsend, in precedenza ufficiale del Pentagono per l’Europa e la Nato, in un articolo riportato da Defensenews.
LA PROPOSTA DI SANZIONI
Se la Turchia dovesse mai decidere di integrare effettivamente questo tipo di armamento al proprio sistema di difesa, gli Stati Uniti potrebbero decidere di attivare le sanzioni legate al Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act (Caatsa): questo tipo di sanzioni, introdotte nel 2017, potrebbero colpire la Turchia in quanto acquirente di un importante sistemi d’arma venduto dalla Russia. Il presidente della commissione Affari esteri del Senato Jim Risch ha più volte sostenuto questa posizione. La decisione turca di posticipare l’attivazione del nuovo armamento, così come affermato da Can Kasapoglu (direttore del programma difesa e sicurezza del think tank Edam di Instabul), potrebbe aprire scenari interessanti nelle future trattative tra i due Paesi.
UN PROBLEMA PER LA NATO
Uno spiraglio anche per la Nato, sempre allineata a Washington nell’opposizione alla scelta turca per l’S-400, problematica da un punto di vista operativo (per la comunalità degli assetti) oltre che strategico. D’altra parte, il contestato acquisto rappresenta lo scivolamento di un Paese membro nell’orbita di Mosca. Il think tank Carnegie definisce il rapporto tra Turchia e Russia come un matrimonio di convenienza: una collaborazione, quindi, che non si basa sulla condivisione di valori o visioni del mondo comuni ma sugli interessi e sulla consapevolezza che una collaborazione, seppur difficoltosa, è pur sempre meglio di un conflitto. Il dossier siriano può essere considerato come un esempio di come questa relazione si sia sviluppata positivamente, seppur con altre fortune, nel corso degli anni.
SE ANKARA VA VERSO MOSCA
Nel novembre 2015, un jet russo accusato di aver sconfinato viene abbattuto dagli F-16 turchi nei cieli sopra il confine tra Siria e Turchia. Le tensioni che sembravano doversi riverberarsi sul campo di battaglia, non essendo i due Paesi schierati dalla stessa parte, vengono smorzate dalle scuse fatte dal presidente Erdogan un anno dopo. La partecipazione turca al processo di stabilizzazione della Siria tenutosi ad Astana e, più recentemente, il pattugliamento congiunto nel nord-ovest del Paese hanno consolidato le relazioni e invertito di 180 gradi le tensioni precedenti. Sebbene non scolpita nella pietra, la collaborazione con la Russia, unita alla mancata volontà della Turchia di prendere una posizione di campo netta, potrebbe minare la coesione dell’Alleanza Atlantica: l’acquisto turco del sistema d’arma russo priverà il secondo esercito della Nato del più avanzato aereo di quinta generazione. Una questione militare che potrebbe allargarsi anche al “comparto” politico dell’Alleanza, generando un ulteriore indebolimento della struttura militare.