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Vi spiego il rebus sulla Legge elettorale. A lezione dal prof. Pombeni

Proporzionale o maggioritario, questo è il problema. Mentre in commissione Affari costituzionali le forze di maggioranza e opposizione si confrontano sul testo di quella che potrebbe essere la nuova legge con cui gli italiani andranno a votare, Formiche.net ha raggiunto il prof. Paolo Pombeni, storico, politologo, già professore di Storia dei sistemi politici all’Università di Bologna, componente del comitato di direzione della rivista il Mulino e direttore del sito Mente Politica per capire, da una parte, se sia questo il tempo di parlare di legge elettorale e dall’altro i perché dietro il ribaltamento delle posizioni nelle forze politiche italiane che prima guardavano al maggioritario e ora, invece, puntano sul proporzionale (e viceversa).

Professore, partiamo dalla legge elettorale: ci sono divisioni nella maggioranza (Iv e Leu) su proporzionale o maggioritario, due domande: 1. ha senso parlarne ora? 2. può la legge elettorale intervenire sulla governabilità o il problema è altrove?

Partiamo dalla prima: ha assolutamente senso. Nel momento in cui si è deciso il taglio dei parlamentari sottoposto a referendum, si è accentuata la necessità e il bisogno di avere una qualche forma di legge elettorale che ne tenesse conto. A confermare questa necessità, poi, è anche la situazione politica niente affatto stabile. Al Paese servono gli strumenti, eventualmente, per andare a una prova elettorale che io temo che prima o poi accadrà.

E qui arriviamo alla seconda domanda…

La legge elettorale interviene, a patto che non si abbia su di essa un’aspettativa miracolistica. Si deve tenere conto che essa può servire per stabilizzare la situazione, non per creare un mondo che non c’è. È evidente, quindi, che un discorso su una legge di tipo maggioritario in questo momento vuol dire soltanto spingere per formare coalizioni pasticciate che non reggono e fanno più danno che bene, togliendo la flessibilità necessaria in questi momenti di emergenza alla ricerca anche in itinere di maggioranze diverse.

Quindi arriviamo al cosiddetto “Germanicum”, la proposta di legge proporzionale in discussione in commissione Affari costituzionali della Camera. Ha senso, nel momento politico attuale?

Sì. Naturalmente è necessario non cedere sulla soglia di sbarramento al 5%, importante perché se no si rischia di far proliferare partitini e partitelli, ma in questa proposta c’è una spinta ragionevole alla coalizione che devono trovare anche i partiti più piccoli. Non dimentichiamo che una delle cause per cui il sistema della Prima Repubblica è andato al diavolo è che i cosiddetti partiti laici minori non sono mai riusciti a trovare un accordo fra di loro, e questo per salvare le loro nomenclature. Alla fine hanno perso tutti e sono spariti nel nulla.

Spostiamoci un po’ sul lato politico: i sondaggi, ad oggi, dicono che se si andasse a votare non cambierebbe molto, a livello di governabilità. Quale può essere la formula per evitarlo, anche tenendo conto di quel taglio dei parlamentari che, però, deve passare per la consultazione referendaria?

Questo referendum, vorrei sottolineare, è più incerto di quanto non si dica. Una parte dell’opinione pubblica che è stata colpevolmente abituata a dire sempre “No” alle riforme costituzionali, “Non si tocca niente!”, potrebbe ricordarsi di questo atteggiamento anche questa volta. La volta scorsa questo ha fregato Renzi, forse questa volta fregherà i 5 Stelle.

Oggi Luciano Violante intervenendo su Repubblica ha scritto che “se l’Italia non riesce a risolvere i suoi problemi non è colpa della legge elettorale”. Di chi è la colpa, della classe politica?

Senz’altro, ma credo si sottovaluti che la prossima volta si voterà in condizioni molto diverse da quelle che ci si immagina. Questa crisi della pandemia, anche se non si vede nei sondaggi (a cui non credo troppo…), ha cambiato molto il modo di ragionare degli elettori. Ma non possiamo affidarci solo a questo.

A cosa si riferisce?

Dobbiamo avere un minimo di fiducia anche in altri meccanismi, perché non tutto si risolve sulla base di quello che decidono gli elettori in quei 10 minuti in cui vanno nella famosa cabina. Gli elettori mandano in Parlamento delle persone, ma questi parlamentari entrano in dialettica con una serie di altre istanze: classi dirigenti, economiche, sociali, culturali, religiose, vengono messi di fronte a dei dati. Al netto di chi finge che non ci siano, bisogna ricordare che il Parlamento è fatto per cambiare idea, non per tradurre semplicemente i sommovimenti elettorali del giorno delle elezioni. Ragionare su quello che succede, questo è la democrazia. Un minimo di fiducia in questo meccanismo dobbiamo averla.

C’è un ribaltamento, nelle posizioni delle forze politiche italiane: chi prima voleva il proporzionale ora spinge per il maggioritario, e viceversa. A cosa è dovuto questo ribaltamento?

È semplice: la premessa è che il centrodestra sta puntando sul maggioritario sapendo di poter contare su una coalizione che esiste. Ciò detto, se tu imponi una legge maggioritaria succede che obblighi anche la controparte a fare altrettanto, anche se in questo contesto Pd, M5S e IV non vogliono farlo. È una sorta di meccanismo di legge truffa, se così vogliamo dire. Che però non risolverebbe nulla.

Perché?

Si tornerebbe come ai tempi di Prodi, con una differenza: che a quei tempi c’era la possibilità di rimediare in via parlamentare se qualcosa andava storto, mentre ora se salta la coalizione toccherà tornare alle urne, un ricorso continuo alle elezioni. Nel momento in cui ci troviamo in Italia e nel mondo è una situazione che solo i pazzi possono augurarsi.

Quindi sì al proporzionale, che però non piace a Italia Viva e LeU. Potrebbero mettere in difficoltà il governo?

Se oggi a Bruxelles troveranno, come sembra, una forma di accordo e arriverà una discreta quantità di finanziamenti (non quella mirabolante che ci si aspettava, ma comunque notevole) si può far cadere il governo Conte, ma non per andare a elezioni con un sistema maggioritario. Non conviene neanche a loro. Poi c’è un consiglio che bisognerebbe dare a queste piccole forze.

Quale?

Che scelgano se vogliono fare le forze di testimonianza, va benissimo ed è diritto di tutti, oppure se vogliono fare le forze vere, allora costituiscano delle alleanze che arrivino almeno il 5%, non è impossibile. Per fare un esempio, tra i voti di Calenda e quelli di Renzi il 5% si raggiunge eccome. Renzi e Calenda rinuncino al protagonismo e pensino alla presenza parlamentare che potrebbe anche superare quella soglia.

Ultima domanda: nella quarta giornata del Consiglio europeo straordinario: quale giudizio su Conte e il governo?

Nelle condizioni date, si è comportato nell’unica maniera possibile e relativamente bene. I rilievi che si possono fare sono due: il primo, bisognava agire seriamente sulla scarsa fiducia che gli altri Paesi hanno nelle capacità dell’Italia. Questo è un problema che andava risolto e a prescindere da come andrà a finire andrà risolto in futuro.

Il secondo?

Il secondo è che in queste condizioni, ci fosse stato anche Draghi, non sarebbe cambiato molto. Rutte (il primo ministro olandese, ndr) non si è messo solo contro Conte, ma contro Merkel, Macron, contro personaggi di una statura e una credibilità più solida di quella di Conte. Il problema sarà, ora, cosa fare quando tornerà in Italia.

Ossia?

Non basterà la narrazione sul “come sono stato bravo, tutto il popolo è con me”, adesso bisognerà decidere chi spende quei soldi, come si spenderanno e se si accederà al Mes. Da questo punto di vista non è ancora cambiato niente.



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