C’è un aspetto che il Ceo di Eni, Claudio Descalzi, ci tiene e ripetere: “Vediamo Covid come una ragione per accelerare la transizione verso un’energia a basse emissioni di carbonio”. Anticipato in un’intervista alla Bloomberg lunedì, già accennato in precedenza in altre uscite pubbliche post/intra-epidemia, il tema è stato articolato in un panel nell’ambito dei Mediterranean Dialogues che il think tank italiano Ispi organizza, in formato virtuale, insieme alla Farnesina. È un argomento molto ampio, con cui Descalzi sembra indicare più di una strategia aziendale – qualcosa su cui i governi sono chiamati a porre attentamente il pensiero.
Val la pena ricordare che pre-Covid, a febbraio, Eni aveva già fissato l’obiettivo di ridurre l’80 per cento delle emissioni nette entro il 2050. Ora con la pandemia il mercato dell’oil&gas è stato pesantemente colpito, “vogliamo capire bene cosa sta succedendo e soprattutto cosa succederà” dice Desclazi, mentre ricorda che la crisi legata al coronavirus “non ha intaccato le new energy”. “Lo scorso aprile sarà ricordato nella storia dell’oil&gas come l’aprile nero perché abbiamo visto prezzi negativi per la prima volta e probabilmente anche per l’ultima” ha aggiunto il direttore esecutivo dell’Iea, Fatih Birol.
Birol ha aggiunto che attualmente c’è “un graduale ri-bilanciamento del mercato a circa 40 dollari”, dovuto all’allentamento del lockdown e alla ripresa economica, “che mostra alcuni segni di ripresa in alcune parti del mondo”. Ma dall’incontro è emerso chiaramente come il tema della decabornizzazione (“un obiettivo positivo e cruciale per il futuro di un continente come l’Europa”, dice Descalzi), e delle transizione energetica, sia ciò che una società come Eni – gigante mondiale del settore – guarda “per il medio-lungo periodo”, come ha spiegato l’italiano.
Certamente, aggiunge il Ceo, le rinnovabili nel loro essere essenziali “ancora non bastano a soddisfare il fabbisogno energetico e ad assicurare la sicurezza degli approvvigionamenti energetici”. Serve la possibilità di mantenere le infrastrutture (per questo il mix con l’o&g è considerato fondamentale); serve un “movimento globale” (l’Europa, ha spiegato, non può essere sola in questo sforzo).
Nel corso dell’incontro è emerso anche come il ruolo dei Paesi più sviluppati nei confronti di alcuni quadranti geopolitici – tipo il Mediterraneo, il Nordafrica e l’Africa subsahariana, il Medio Oriente – sia anche quello di cooperare per agevolare questa transizione energetica: “Il 40% della radiazione solare nel mondo brilla sull’Africa, ma solo l’1% viene utilizzato nel continente per produrre energia. Ecco perché sono necessari investimenti”, ha detto il top manager italiano.
Particolare attenzione alla Libia, dove l’Eni è presente in mezzo a un dossier iper-surriscaldato dal conflitto civile e soprattutto dalle ingerenze esterne. “Sono stato recentemente a Tripoli – ha detto Descalzi, riferendosi a un viaggio della scorsa settimana che su queste colonne ha avuto un’attenta copertura, arrivato dopo un altro di pochi giorni prima in Algeria – e ci sono enormi problemi a livello di elettricità e di gas, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento delle attività produttive. Per quanto riguarda invece le nostre attività in Libia, un paese centrale per il Nordafrica e per il Medio Oriente, vanno bene considerando la situazione. Ricordo che la Libia per noi è una nazione importantissima, soprattutto nella produzione del gas”.