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Cosa racconta la strage dei 21 liceali di società e censura in Cina

coronavirus

Non è semplice ricostruire un fatto quando questo avviene in Cina. Sebbene in questo caso, forse anche per colpa dell’effetto e della risonanza che è stato possibile dargli sui media internazionali, qualche informazione in più è circolata. Ci sono stati 21 liceali morti, annegati nello scuolabus mentre rientravano dall’esame di maturità. E tutto è stato meno che un incidente, per questo se ne parla poco in Cina e di più nel mondo. La notizia è stata chiusa “in cinque righe in cronaca sulla stampa di Pechino”, fa notare il corrispondente dalla capitale cinese del CorSera, Guido Santevecchi (qui spesso citato e per presenza fisica nei luoghi raccontati, e per capacità ed esperienza. NdA).

Come dicevamo, quel pullman non è finito in un laghetto artificiale di Hongshan, città del Guizhou (provincia montuosa del Sudovest cinese), per un incidente stradale, ma perché il suo autista ha compiuto un “baofu shehu”, ossia un atto di vendetta sociale. Azione di ritorsione estrema e tragica contro un sistema vessatorio che gli aveva sottratto casa perché il lotto occupato dal suo edificio doveva far posto a un piano di sviluppo deciso dal Partito. Risarcito con l’equivalente di diecimila euro, ancora senza un’abitazione assegnata, quell’uomo si sentiva sottratto di una libertà fondamentale — dove e come vivere. Una condizione che subiva e che aveva denunciato parlando con i servizi appositi della sua amministrazione. Ma non aveva ricevuto risposta. Ubriaco di grappa di sorgo s’è messo alla guida del mezzo e si è vendicato contro degli innocenti pensando alla frustrazione per le pressioni del suo governo. Ha lasciato un testamento alla moglie. Tutto quello citato sulla cronaca della vicenda, stavolta è possibile per via di evidenti falle nel sistema di controllo delle informazioni (impossibili, per altro, vista la gravità dell’accaduto).

Il Quotidiano del Popolo, il giornale del Partito Comunista cinese che tiene a bada con la censura tutto ciò che può destabilizzare l’opinione pubblica, scrive che la vendetta non è mai la soluzione. Giustamente. Ma gli atti violenti di chi somma agli squilibri personali una condizione vessatoria di ordine superiore percepita attorno a sé si ripetono e la vendetta è strumento e volontà. In Cina fatti del genere sono già successi in passato e catalogati come “vendetta sulla società”: azioni da parte di squilibrati che avevano conti personali da regolare con le autorità, da cui si sentivano usurpati e traditi.

Si sa che a settembre di due anni fa, per esempio, una donna aggredì a coltellate 14 bambini in un asilo a Chongqing, megalopoli a Ovest: sempre quell’anno, a giugno, due bambini sono stati uccisi a Shanghai davanti a una scuola elementare, e ad aprile altri nove davanti a una scuola media dello Shaanxi. Atti violenti del tutto simili ai mass-shooter americani, un male profondo che colpisce con costanza certe società lanciate verso la conquista del mondo e del futuro. Con la differenza che i fatti negli Usa sono ripresi e commentati da esperti in tutto il mondo, quelli cinesi di solito restano chiusi in cinque righe di cronaca e difficilmente diffusi (questo dello scuolabus è un’eccezione, ed è la ragione di questo articolo).

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