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La questione aperta dei servizi segreti libici. L’analisi di Valori

Il posto e il ruolo di capo dei Servizi libici del Gna di Tripoli sono ancora liberi, ma da poco. Quindi, questa è una situazione ottimale per il capo del governo tripolino, che è oggi direttore pro tempore delle agenzie del Governo di Accordo Nazionale, mentre si acuisce la lotta per i prossimi direttori del Servizio.

In una ovvia triangolazione con la Turchia, ormai essenziale alla stessa sopravvivenza di Tripoli, con la Francia, che può nuocere fuori e dentro il perimetro delle forze di Haftar, che continua a sostenere, malgrado tutto, ma anche con il sostegno a Tripoli del Qatar, poi degli Emirati, perfino, per una residua parte, anche con l’Italia, il fallimento strategico maggiore nel caos post-gheddafiano, e ancora con gli Usa, che stanno rientrando, dalle periferie, nel quadrante libico.
La Russia è sempre più scontenta di Haftar, ma ormai sarà difficile che tratti, da forte a debole, un accordo credibile con Tripoli.

Nell’ambito dell’accordo di Skhirat del 2015, un accordo sostenuto dall’Onu, le ancora nazionali strutture politiche del Gna erano sottoposte a una ferrea regola tripartita, che stabiliva che le tre maggiori regioni della Libia, ormai definitivamente frazionata, ovvero la Tripolitania, la Cirenaica, il Fezzan, avevano sempre una uguale rappresentanza al “centro” del potere. Oggi, i Servizi libici sono privi di un capo a partire dalla morte di Abdoullah Masoud Al Darsi, il 3 aprile scorso. Era stato nominato il 1 novembre 2018.

Aveva sostituito Abdul Qader Al Thulami che era morto di un “attacco di cuore” ma forse, e più probabilmente, ucciso dalle milizie di Al Nawasi, strettamente collegate con il Ministero dell’Interno di Tripoli. Al Nawasi opera soprattutto nel controllo della città di Tripoli, insieme alle altre milizie della “Brigata dei Rivoluzionari di Tripoli”, poi la Forza per la Deterrenza Speciale, e ancora l’unità Abu Slim dell’Apparato Centrale della Sicurezza e, anche, buona parte della Polizia regolare.

Al Nawasi ha subito attacchi dalla Forza Armata Libica di Haftar a Ayn Zara, nel recente attacco dei militanti della Cirenaica, mentre nel febbraio 2020 il ministro dell’Interno di Tripoli, Fathi Bashaga, uomo forte dell’area, ha affermato pubblicamente che la Brigata Nawasi “fa dei ricatti allo Stato”.

Al Darsi, l’ex capo del Servizio di Tripoli, successore di Al Thulami, era stato consigliato a Al Serraj dal parlamento, e sostituiva anche Salem al-Hassi, candidato inefficace che era considerato un membro del Libyan Fighting Group, un gruppo che accoglieva membri di Al Qaeda partecipava alla Forza dello Scudo Islamico, gruppo dichiarato “terrorista dal Parlamento di Tripoli nel 2012 e poi accettato come forza interna al GNA di Tripoli quando, nella “seconda guerra libica”, iniziata nel 2014, lo “Scudo” difese Tripoli da una pericolosa avanzata di Haftar.

Darsi era anche capo del partito “Unione della Riforma” e, detto tra parentesi, fu proprio Darsi a opporsi duramente al diritto degli ebrei, ormai pochissimi, al ritorno, dopo la rivolta pro-gheddafiana, oltre alla compensazione per i danni da loro subiti. Darsi, comunque, rappresentava Bengazi, ma fu sostituito temporaneamente quando la sua città, Garyan, si arrese alle forze dell’Lna di Haftar.

Il suo predecessore, Abdulkader al Thulami, che sostituì nel 2017 proveniva dal Fezzan, essendo nativo di Aqar al Shati. L’altro vice dell’intelligence libica è Abdulmajid Al Dabaa, rappresentante di Tripoli, nominato insieme a Al Thulami, che è oggi in carcere. Accusato di complicati maneggi finanziari illeciti, è certamente una parte della rete di milizie che spesso ricatta, ma opera per suo conto, e finanzia talvolta lo stato centrale tripolino.

Chi sono, quindi, i concorrenti per il posto di capo dei Servizi libici di Tripoli? Intanto, studiamo la struttura e la storia del Servizio della Tripolitania, visto che Haftar ha un servizio quasi unicamente militare. Il Temehu, il Servizio appunto, viene fondato con la Legge 7/2012: l’obiettivo primario della Struttura è quello di eliminare “i lealisti di Gheddafi” e la struttura dei dipartimenti e delle reti è tutta nella disponibilità del Capo del Temehu.

Il primo direttore fu Salem Abd al Assalam Alhasi, che nel 2015 rifiutò la richiesta del Parlamento di Tobruk di dimettersi, pur essendo comunque fedele al parlamento di Tobruk. Fu accusato, soprattutto, di aver confiscato il materiale di 60 cecchini libici addestrati in Usa per combattere il terrorismo.

Salem Mohammad Alaswad, il suo secondo e successore, è una figura che ha accettato la debolezza strutturale dello Stato libico post-gheddafiano, e ha quindi anche accettato, nel tempo in cui è stato capo del Servizio, la catena di comando della sicurezza tripolina: Ministro della Difesa, il Consiglio Supremo di Sicurezza, poi le brigate, allora, dello “Scudo Libico”. Al Hasi ha rinunciato alla cittadinanza Usa nel 2015 falsificando, peraltro, le accuse che lo volevano membro della Fratellanza Musulmana.

Ma, oggi, i candidati a sostituire il vecchio capo del Servizio libico sono molti, più del solito.
C’è in corsa, in prima battuta, l’uomo d’affari Mohammed Al Assawi. Personaggio di Misurata, sostiene in ogni modo il capo delle milizie di Misurata, e oggi potente numero 2 del regime di Tripoli, Mitig.

I turchi vogliono, ancor oggi, Khaled Al-Sharif, un combattente, all’epoca vicino a Al-Qaeda, ma possono dirigere la loro scelta anche su Emad al Trabelsi, vecchio comandante delle operazioni speciali a Zintan, o sul businessman di Misurata Al Issawi. Il problema di Trabelsi è che ha pessimi, durissimi rapporti con il potente ministro degli Interni Fathi Bashaga.

Il giugno scorso, Bashaga ha affermato, un dato molto interessante, che l’Egitto, oggi sostenitore di Haftar, potrebbe giocare un ruolo importante nel ricomporre le frazioni politiche e tribali della Tripolitania, e quindi Bashaga accetterebbe la realtà di fatto di un cessate-il-fuoco con l’Egitto (e con Haftar) in tempi rapidi.

Ed è questa la volontà della Turchia, che sta già chiedendo l’amministrazione del Porto di Tripoli, e in futuro di quello di Misurata, in attesa di buttar fuori dai piedi anche il nostro ospedale locale, l’unico organo informativo dell’Italia in Libia, grazie ai nostri politicanti?

Ahmed Mitig è stato eletto, con qualche dubbio, nel maggio 2014. L’anno dopo, sempre da uomo delle milizie di Misurata, viene eletto vice-Primo Ministro. Il ministro Fathi Bashaga ha anche rifiutato di fornire ben 48 milioni di dinari libici proprio a Abdullah Al Trabelsi, il fratello factotum di Emad Al Trabelsi, soldi che servivano, a suo dire, a “gestire” la situazione dei migranti nell’area di Tripoli.

Tanto per dire, l’Unchr, l’agenzia Onu per i rifugiati, quella che opera nell’area di Tripoli assiste, a metà giugno, 287 persone e con un totale in Libia di assistiti di 401. 863 migranti. Che sono tutti fuori Tripoli e, in gran parte, anche fuori dalla Libia. Peraltro, Emad al Trabelsi ha abbandonato il fronte tripolino nel febbraio 2020, per raggiungere le linee di Haftar. Un altro candidato al posto di capo dei Servizi di Tripoli è Tareq Zarmoh.

Ed è un vecchio dirigente dell’unità dei Servizi che opera specificamente nel contrasto ai gruppi jihadisti. Ha ottimi rapporti con gli Usa, la Gran Bretagna e tutti quelli che, con santa ingenuità, credono che tutto il disastro in Libia e altrove sia stato portato, appunto, dai jihadisti, e non da chi ce l’ha portati dentro, ovvero quei grandi fessi degli occidentali. Non ha nemmeno buoni rapporti con i Servizi italiani, per quel che ci risulta.

Quanto pesano gli Usa su Al Serraj, dopo la mano magica della Turchia che ha salvato Tripoli dalla sua caduta nelle mani di Haftar? Non moltissimo, immaginiamo. Gli amici si vedono nel momento del bisogno. Ci sono finanziamenti, comunque, di qualche rilievo per Zarmoh, tra Svizzera e Isole del Canale, che potrebbero irrobustire i suoi gruppi anti-terroristi, e questo Al Serraj lo sa bene e ne tiene debito conto.

Un candidato ulteriore per il posto di capo dei Servizi di Tripoli è Mustafa Gadur. Proprio il capo della milizia che Fathi Bashaga ha accusato, nel febbraio scorso, di aver cospirato contro il suo ministero. Bashaga ha affermato che un capo della milizia Nawasi, appunto comandata da Gadur, avrebbe contattato l’intelligence italiana per coordinare un incontro tra la Nawasi e lo stesso Gadur con i Servizi degli Emirati Arabi Uniti.

La Nawasi è oggi composta da circa 700 membri e accetta tra i suoi membri anche un gruppo, ben saldo, di salafiti madkaliti che opera con gli altri della Nawasi a partire dalla loro sede di Abu Seta, dove peraltro si trovano i membri del consiglio presidenziale del Gna. I madkhaliti sono salafiti che, nel gergo stupido degli occidentali, verrebbero definiti come “estremisti”. Odiano ferocemente i Fratelli Musulmani, ma la tradizione madkhalita, di origine, come al solito, saudita, è tendenzialmente quietista.

I madkhaliti furono lasciati in pace e talvolta favoriti soprattutto da Gheddafi, che spesso accettò e utilizzò la loro rivolta tacita conto l’ikhwan, la Fratellanza Musulmana. E oggi, grazie soprattutto alla Francia, tesa a portarci via la Libia gheddafiana e soprattutto l’Eni, siamo oggetto della più grande emigrazione in Italia e in Europa dell’islam che gli ignoranti, ancora loro, definiscono come “radicale”.

I membri della katiba di Gadur, ovvero la suddetta Nawasi, si sono ormai infiltrati, dato il loro ruolo nella sicurezza centrale del regime tripolino, in tutti i gangli del potere politico e militare, il che, naturalmente, non piace affatto, ancora, al ministro dell’Interno Fathi Bashaga, che non vuole fare il capo dell’intelligence, ma vuole determinare il suo nominativo e vuole, soprattutto, averlo amico e, meglio ancora, servo.

Mustafa Gadur, è bene notarlo, è in ottimi rapporti, sia per aver fornito la security, che in Libia deve essere piuttosto “affermativa”, che altro, soprattutto il riciclaggio, a Seddik Omar Al Kebir.
Si tratta del governatore della Banca Centrale Libica, che è probabilmente, anche lui, membro della Fratellanza Musulmana.

Uomo del Qatar e della Turchia, e da tempo, ma è ormai nel mirino degli Usa, che lo ritengono un loro nemico giurato. Gli Usa, che Dio li benedica, vogliono fondere la Banca Centrale di Tripoli con quella di Bengazi, governata da El Hebri. Ed è un vecchio progetto dell’Onu nell’exit plan per la Libia, ma premere oggi per una riunificazione del genere è davvero una operazione che Benedetto Croce chiamerebbe “illuministica”, ovvero piena di principi alti e nobili ma assolutamente priva di qualsiasi praticità.

Al Kabir, ovviamente, avrebbe finanziato anche il “terrorismo”. Quale? Quello di tante parti che compongono il suo governo, riconosciuto dall’Onu? Al Kabir ha ovvi rapporti con le milizie, ovvero soprattutto con la Rada, la “Forza di Deterrenza Speciale” e, comunque, al Kabir può contare sull’appoggio dell’ambasciatore libico in Turchia, Abdul Razzak Mukhtar Abdul Gader, Fratello Musulmano molto importante, poi con Megaryeh, già direttore della CBL, oggi capo della filiale del Bahrein della Arab Banking Corporation.

Megaryeh è anche direttore del centro di Doha della Brookings Institution, ma è anche direttore dell’associazione Silatech, fondata da Sheika Moza Bint Nasser, la madre di Tamim al Thani, l’Emiro del Qatar. Al Kabir, dimenticavo, è una delle fonti dei Servizi italiani. La pesante offensiva di Haftar ha comunque portato ad alcuni risultati notevoli: in primo luogo, c’è la quasi totale perdita di potere, di influenza e anche informativo, dei Servizi italiani, che ormai sono fuori dal quadrante libico.

Ovviamente, il Servizio turco, che già ha molto aiutato l’Italia nella liberazione di Silvia Romano, è ormai capace di determinare, facendo pesare il suo ruolo militare, con i suoi jihadisti trasportati da Idlib, in Siria, di determinare molte cariche nel governo di Tripoli. Ed è già capitato con Khaled Sherif, sostenuto dalla Fratellanza Musulmana, che nel maggio scorso non ha avuto la nomina a capo del Servizio dell’Lna. Ed è stato comunque “purgato” duramente da Fathi Bashaga.

La visita dei ministri più importanti della Turchia è stata continua, dopo il sostegno jihadista turco a Tripoli,, da quello degli Esteri Cavusoglu, il 17 giugno scorso, e poi di Hakan Fidan, il capo dell’intelligence turca del Mit, subito dopo, che peraltro ha operato anche con la Tunisia, per non parlare del capo della intelligence elettronica turca, Cemalettin Celik, oltre al nuovo capo della rete dei Servizi turchi in Libia, potentissimi, Metehan Olgun.

La visita del ministro degli Esteri turco non è stata casuale nemmeno sul piano economico.
I turchi hanno detto a Al Serraj, con qualche durezza, che vogliono, lo accennavamo prima, la gestione quasi completa del porto di Misurata. Ora, c’è la Misrata Free Zone, Senza Misurata, nessuna importazione di rilievo dall’estero in Libia, nessun collegamento con il Mediterraneo, nessun trasporto rilevante di petroli, legali o meno, verso Italia e Eu. Tra l’altro, proprio durante lo scontro turco con Haftar, Ankara ha sottolineato esplicitamente l’importanza delle Forze di Misurata, che fanno ancora riferimento a Fathi Bashaga, ministro degli interni e da tempo vero numero 2 del governo di Tripoli.

Ecco il probabile king maker. Ormai, comunque, i mediatori e gli uomini di affari di Misurata operano soprattutto con scambi dalla Turchia, soprattutto per quanto riguarda l’agrifood.
Bollorè, nel frattempo, uomo della Presidenza francese, ma spesso in contrasto con i suoi Servizi, che talvolta hanno inondato quelli italiani con dossier molto negativi proprio su Bollorè, ha un contratto con l’Autorità di Misurata fin dal 2010, ma non ha sostenuto l’impegno francese con Haftar, ovviamente, anzi, ma non crediamo che Bollorè sia nei primi pensieri dell’Autorità Portuale di Misurata.

La Turchia, dalla Libia, sta penetrando in Africa in modo pesante. Il presidente guineano Alpha Condè ha visitato due volte Ankara in meno di due mesi, ma il solo presidente Erdogan ha messo in azione anche la ONG turca Ihh per il sostegno ad Alpha Condè e alla popolazione guineana e per fare strada ad alcuni uomini d’affari turchi che vogliono, o sono anche obbligati a farlo, fare operazioni in Guinea Bissau.

Il governo turco, nelle aree africane di tradizione islamica, sta sostituendo le vastissime reti, ancora operative, di Fethullah Gulen, ormai il suo nemico numero 1, soprattutto in Guinea, in Senegal e in Gabon, mentre le scuole di Gulen stanno andando ancora bene in Africa Meridionale e in Nigeria, malgrado gli sforzi dell’oligarca tessile (con fabbriche nelle aree di permanenza dei migranti dalla Siria) che è anche console onorario a Pretoria.

A Mogadiscio opera il conglomerato turco Albayrak, che lavora i minerali di Conakry, mentre una strada veloce è stata recentemente affidata, dal governo locale di Bamako, alla famiglia turca Kalioncu. Una famiglia di affari turca ha però fallito, a favore dell’India, la chiusura del contratto per la costruzione della diga Kandadji sul Niger, che può trasferire i materiali dalla miniera di rame di Konkola verso i porti nigerini, mentre il governo dello Zambia, tramite inevitabile, faceva “il tifo” per la Turchia. Oggi, la Turchia, prima della sua conquista di fatto della Libia, ma grazie soprattutto alla nostra stupidità strategica, ha circa 30 punti di sviluppo economici in Africa.



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