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Il Libano muore, ma prima va lottizzata la bara (al palazzo presidenziale). L’analisi di Cristiano

Accusato da tutto il mondo di essere un Paese basato sul confessionalismo, il Libano ha trovato al proprio interno due grandi megafoni di questa fondata ma superficiale critica: il presidente in carica, Michel Aoun, maronita come previsto dal sistema “confessionale” vigente, ed Hezbollah, predominante espressione del campo sciita, che impone l’ortodossia khomeinista a una comunità controllata millimetricamente con tutti i mezzi.

Quando è esploso il porto di Beirut il presidente Aoun ha proposto di varare riforme, ma non quelle gestionali che si aspettava tutto un Paese dove ci si “dimenticano” migliaia di tonnellate di nitrato d’ammonio nel porto commerciale, non quelle finanziarie indispensabili ieri, non oggi, visto che il Paese è finito in default dopo essere stato il più prospero della regione. No, lui ha proposto riforme costituzionali. Parlò di urgenza di arrivare a uno “stato civile”.

Hezbollah gli diede manforte, sostenendo che bisognava superare il sistema che dà ai cristiani il 50% degli eletti e ai musulmani l’altro 50%. Tutto questo mentre Emmanuel Macron, un francese dunque, chiedeva di varare in tempi rapidissimi un governo tecnico, che mandasse in pensione i signori della nomenclatura che ha depredato il Libano e distrutto Beirut, consentendo di arrivare ad ottobre a un serio confronto con i donatori internazionali.

Il premier tecnico lo ha di fatto designato lui, circa venti giorni fa, trattandosi di un ambasciatore libanese quasi sconosciuto. L’impegno era quello che varasse un governo di tecnici entro due settimane. Ma il governo non c’è e lui ha già minacciato di rinunciare all’incarico. Come mai? Perché il presidente che vuole uno “stato civile” e Hezbollah, forza politica critica del confessionalismo, vogliono imporre un ministro delle Finanze sciita designato da Hezbollah e dal suo eterno alleato sciita, Amal. E lo stato civile? E le critiche al confessionalismo? E il governo tecnico?

D’accordo, dicono Aoun e Hezbollah, ma il ministro delle Finanze da tanto tempo è sciita e tale deve seguitare ad essere. Eppure la costituzione proibisce confessionalizzazioni degli incarichi ministeriali.

La vicenda ha molti risvolti. Il primo è che i nemici del confessionalismo ne vorrebbero imporre un’estensione anticostituzionale. Il secondo, grave quanto la prima, è che il Paese è bloccato, senza un governo, in preda a tante crisi che avrebbero richiesto ben altra risposta.

Per uscire da questo paradosso Saad Hariri ha proposto un compromesso che non regge da nessun punto di vista, ma cerca una via d’uscita: il premier nomini lui il nuovo ministro delle finanze, scegliendo uno sciita. Sembra quasi voler dire “scelga uno sciita ma senza affidare la designazione ai partiti sciiti”: un bizantinismo poco bizantino che non regge.

Mettiamola in italiano: Macron è la troika, e ha detto al Libano che se vuole salvarsi con i soldi della comunità internazionale deve mettersi in mano a un Mario Monti locale e alla sua squadra, non ai gerarchi di partito che hanno distrutto il Paese. Ma i “sovranisti” locali non ci stanno. Soprattutto Hezbollah, che esultava nelle piazze quando si dichiarò il default perché si era riusciti a resistere al Fondo Monetario e gli altri creditori. Strano destino quello dei sovranisti khomeinisti libanesi: si rimettono alle decisioni di Teheran per i loro coinvolgimenti in ogni conflitto regionale, arrogandosi il diritto anche di dichiarare guerra senza sentire il loro governo, ma poi pretendono il ministero delle finanze quando si tratta di riparare i danni che hanno contribuito a causare. E il presidente della Repubblica, maronita, gli dà anche man forte, forse perché senza i loro voti mai sarebbe stato eletto.

Appare sempre più evidente che difficilmente il Libano potrà assumere vere decisioni prima di novembre, perché Teheran vuole tenere tutto fermo fino al voto americano e poi giocarsi le sue carte tenendo il Libano sotto la sua egemonia politica fino a quel momento. E il negoziato finanziario non può prescindere da loro almeno fino a quel momento. Ma che tutto questo possa passare sotto silenzio in ambienti politico-culturali europei con la scusa della “resistenza” o della “persecuzione dei cristiani” appare incredibile.

La resistenza vera è quella dei libanesi che chiedono a Hezbollah di liberarli dallo Stato nello Stato che il Partito di Dio ha costruito fino a soffocarli a casa loro, e i cristiani perseguitati sono quelli che non possono invocare la loro appartenenza a un Paese libero, multi-religioso e determinato a restare unito nel nome della convivenza, non della “resistenza”, maschera ormai evidente del vero neo colonialismo.



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