Più della Cina, l’Iran. È Teheran, non Pechino, il vero convitato di pietra dell’Assemblea generale dell’Onu a New York. Sulle sorti della Repubblica islamica è costruita l’intera grand strategy del presidente degli Stati Uniti Donald Trump per il Medio Oriente. Gli accordi di Abramo fra Israele, Bahrain, Emirati Arabi Uniti non sono che l’inizio. Una formidabile carta elettorale a un mese e mezzo dal voto americano. Perché il piano vada in porto, Washington ha bisogno dell’aiuto dei suoi più stretti alleati, a cominciare da chi, come l’Italia, nel Mediterraneo e in Medio Oriente ancora conta qualcosa. Non è casuale allora il tempismo della visita del segretario di Stato Usa Mike Pompeo a Roma. Che, avvisa in questa intervista Nicola Pedde, presidente dell’Institute for global studies (Igs) ed esperto di Iran, rischia però di concludersi con un magro bottino.
Pedde, ci risiamo. Sull’Iran all’Onu è Trump contro tutti, e viceversa.
Un copione scritto, da campagna elettorale. Ma a tratti rasenta il ridicolo. Gli Stati Uniti pretendono di riattivare l’embargo, e tutto il Consiglio di Sicurezza dell’Onu respinge la proposta. Perché non ci sono i presupposti giuridici per farlo.
Nel frattempo, Trump fa da sé: sanzioni per tutti.
Delegittimando l’Onu e il suo segretario generale, Antonio Guterres. Si assume un rischio enorme, quello dello stigma di Paese unilaterale. Come fanno i Paesi europei quando vanno allo scontro con Bruxelles, senza pensare alle conseguenze.
Dal Palazzo di Vetro però non una parola sull’accordo fra Israele, Emirati Arabi e Bahrain raggiunto grazie agli Usa. Guterres non lo ha nominato.
Convince poco la comunità internazionale, al di là dei toni trionfalistici con cui l’amministrazione americana accompagna qualsiasi scelta del presidente. È un piano di collaborazione fra Paesi con radice anti-iraniana, una cornice di sicurezza difficile da gestire.
Perché?
È funzionale alla politica americana, non è detto che lo sia per quella emiratina. Gli Emirati chiedono di essere inseriti all’interno di una maglia di sicurezza fatta di accordi regionali, tecnologia, vendita di armi. Come il programma F-35, che però Israele non vuole in alcun modo condividere con un Paese arabo. Un accordo in cui uno dei firmatari non si fida della controparte lascia perplessi.
Come se ne esce?
Per ora rimane l’impasse. Questo martedì Benny Gantz è volato negli Stati Uniti per evitare la vendita degli F-35. Si ipotizza addirittura la commercializzazione del solo involucro dei jet, senza tecnologia, oppure di aerei con leghe di metallo diverse.
L’Arabia Saudita può aggiungersi all’intesa?
Sul piano della cooperazione con Israele i contatti sono già attivi. Più difficile formalizzarli per un Paese che è custode dei due luoghi sacri dell’Islam. Si apre una parentesi difficile per la monarchia saudita. Molti di questi accordi hanno prodotto scarsi risultati in passato.
Ad esempio?
Penso a Camp David con l’Egitto. Non ne è mai scaturito un rapporto privilegiato, oggi la società egiziana è ancora anti-israeliana.
Torniamo all’Onu. Rouhani ha incassato il doppio sostegno di Putin e Xi Jinping. Chi è il su vero protettore?
Nessuno dei due. La Russia è un partner degli iraniani, ma i rapporti fra Mosca e Teheran sono segnati anche da diffidenza. È una partnership funzionale, in chiave antiamericana.
E la Cina?
Anche qui, rapporti economici intensi. Niente che possa convincere Pechino a farsi trascinare dall’Iran in una guerra. Il governo iraniano è difeso per principio, contro un’imposizione unilaterale statunitense.
Non ci staremo dimenticando dell’Ue?
La linea non è poi così diversa. Certo, i Paesi U-3 (Francia, Germania, Italia, ndr) non hanno usato i guanti con l’Iran. Nessuno però è favorevole alla reintroduzione delle sanzioni, fatta eccezione ad alcuni Paesi dell’Est Europa avvicinatisi a Trump, come la Polonia.
Sarà, ma la linea italiana e quella americana rimangono distanti. E Pompeo il 30 settembre avrà da ridire a Palazzo Chigi.
Chiederà quello che ha già chiesto agli altri, senza ottenerle. Non ci sono margini in Parlamento, ci salveremo ancora una volta con l’ambiguità. D’altronde il sistema finanziario è bloccato e l’interscambio con l’Iran in piena paralisi. L’inviato di Trump, poi, spingerà il governo italiano a fare pressioni sugli alleati dell’Iran in Medio Oriente.
Come Hezbollah in Libano. Il Dipartimento di Stato Usa ha avvisato: anche in Italia, ci sono depositi di nitrato di ammonio del gruppo.
È in corso una forte pressione per dimostrare che la minaccia si è estesa al territorio europeo. Chiedono a quanti più Paesi Ue di inserire Hezbollah in una lista internazionale di terrorismo. Un’altra richiesta che difficilmente troverà sponda in Italia.