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Fine dei giochi. Lo schiaffo di Dibba al Movimento (e a Di Maio)

Rieccolo. Neanche il tempo di stappare una bottiglia per il successo del referendum, e già il Movimento Cinque Stelle si ritrova a fare i conti con Alessandro Di Battista. Non c’è proprio un bel niente da brindare, avvisa lui furibondo. Appare su Facebook, camicia rosa salmone e zazzera al vento. È l’ennesima uscita pubblica nelle ultime settimane, non se ne contavano tante da un anno, prima che si dedicasse alla professione di reporter.

“È la più grande sconfitta della storia del Movimento Cinque Stelle”. La tocca piano in apertura, snocciolando i numeri del crollo pentastellato alle regionali. “In Campania siamo passati dal 17 al 10%, lì il Movimento ha sfiorato il 50%. È campano il ministro degli Esteri, il presidente della Camera, il ministro dell’Ambiente, il ministro dello Sport eppure abbiamo preso il 10%”.

Più diretto di così si muore. La stoccata arriva dritta a Luigi Di Maio un giorno dopo la conferenza stampa con cui l’ex capo ha celebrato raggiante il “suo” successo, quel 70% del Sì al referendum sul taglio dei parlamentari che ha fatto dimenticare, per un attimo, 8 milioni di voti persi nelle regioni. Peccato che quel trionfo non sia dei Cinque Stelle, puntualizza Di Battista. “È un successo di Fraccaro e del gruppo parlamentare dei Cinque Stelle – dice lui – Tuttavia quel 70% non può essere considerato solo un successo del Movimento. Bisogna essere cauti altrimenti rischiamo di commettere un errore”.

La seconda picconata a Di Maio arriva a stretto giro. Di fronte ai cronisti, a pochi minuti dallo spoglio, il ministro di Pomigliano d’Arco ha fatto velatamente intendere che se l’en plein del referendum porta (anche) la sua firma, la debacle delle regionali è da ascrivere alla direzione politica, cioè a Vito Crimi, il capo politico ad interim, “le cose potevano essere organizzate diversamente”. Gli risponde per le rime Dibba su Facebook. “Potremmo mettere anche De Gaulle alle guida del M5S, non cambierebbe nulla. Serve subito una nuova agenda con gli Stati generali, non possiamo mettere la polvere sotto il tappeto”.

A Nicola Zingaretti e i colleghi che ancora parlano di “alleanza organica” (l’unica regione dove è andata in scena, la Liguria con Ferruccio Sansa, si è chiusa con un flop), il pasdaran di Vigna Clara dice: “Parlare ora di alleanze è del tutto sbagliato, sia per chi è estremamente contrario sia per chi è a favore. Non è il tema delle alleanze il tema della crisi del M5s, il tema principale è la crisi identitaria del M5S, è innegabile. Dobbiamo dire le cose come stanno, il sogno di cambiamento è in crisi e per questo non vengono i voti”.

Festa rovinata, ancora una volta. Dopo la rottura con il “suo” direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, ecco l’elmetto contro il Movimento e chi ne fa le veci. La resa dei conti è fissata agli Stati generali, e le (poche) truppe rimaste vicino a Di Battista sono pronte a dar battaglia. Dentro o fuori i ranghi.



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