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È l’ora del Pd. I consigli di Ignazi a Zingaretti

Nel commentare l’esito di elezioni regionali e referendum, Piero Ignazi, politologo e accademico dell’Università di Bologna, parte da un assunto: “Tutti i commenti che sono stati fatti alla vigilia del voto, avrebbero potuto essere cestinati”. Prima di scendere nell’analisi delle votazioni “va considerata l’altissima affluenza che queste elezioni hanno avuto. Francamente – dice il professore – non me l’aspettavo. Anche perché, l’emergenza pandemica avrebbe comunque potuto costituire un elemento di freno non indifferente”. E invece ha prevalso “la mobilitazione locale per i circa mille comuni che sono andati al voto, per le Regionali e il traino delle regioni popolose come la Campania”. Due terzi e un terzo.

Lo Stivale idealmente si potrebbe dividere in questo modo, valutando le percentuali che sono emerse dopo la consultazione referendaria sul taglio dei parlamentari. Percentuali importanti, che però non meravigliano affatto Ignazi. “Mi aspettavo esattamente questo tipo di risultato dalle urne – sentenzia il politologo -. Peraltro si tratta della conferma che molti intellettuali e opinionisti vivono in una bolla: il sentimento antipolitico è assolutamente preponderante. La volontà di contrasto alla casta e la mobilitazione del voto da parte della destra che pensava (erroneamente) con questo risultato di indebolire il governo, sono stati fattori determinanti per arrivare a questo risultato, con queste percentuali”. D’altro canto “anche per il fonte opposto è stata una grande vittoria, fermo restando che non c’era nessuno a sostenerlo”.

Sulle implicazioni di questo voto in merito alla stabilità dell’esecutivo, Ignazi non ha dubbi: “Penso che qualunque fosse stato il risultato – analizza – il governo sarebbe rimasto lì dov’è. Banalmente perché in questa fase post emergenziale si trova a dover gestire qualcosa come duecento miliardi”. A proposito di esecutivo, e parlando specificatamente del Partito democratico e della leadership di Nicola Zingaretti, il politologo è convinto del fatto che “i ‘dem’ e il segretario, da queste elezioni, ne escono molto rafforzati”. Anche perché sicuramente “conquistare o riconfermare tre regioni direi che è un risultato ottimo. Peraltro, in certi casi come in Puglia, i margini di vittoria sono piuttosto ampi”.

Da questo punto di vista, però, il docente di Unibo si spinge ad una riflessione che più che altro il Pd dovrebbe recepire se intenzionato a rimanere partito di governo a vocazione maggioritaria. “La fotografia che forniscono queste elezioni regionali – riprende – ritrae un Pd sicuramente rafforzato, a partire dalla linea del segretario ma che ha bisogno di riflettere su un punto nevralgico: ormai si vince solo con candidati forti e che escono dall’alveo anche dialettico del politicamente corretto. Emiliano a suo modo e Vincenzo De Luca in particolare sono esattamente l’opposto rispetto al politicamente corretto e, soprattutto, sono candidati molto forti nei loro territori”.

E il legame, per alcuni ormai dato di fatto quasi endemico, tra Pd e 5 Stelle? “Sinceramente – risponde Ignazi – specie sui territori, questo legame non c’è stato e quando c’è stato si è rivelato fallimentare. L’alleanza di governo ha retto fino ad oggi perché il Pd ha ‘ingoiato parecchi rospi’. Ora forse, visti gli esiti di queste votazioni e un minimo di ripresa, si farà valere un po’ di più”.

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