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Movimenti militari a Sirte e raid a Jufra. La Turchia ferita rialza la testa in Libia

Da ieri le fonti libiche (più che altro lato Tripolitania) fanno circolare le immagini di mezzi corazzati e altri rinforzi spostati da Tripoli a Sirte. Sono unità che difendono il Gna, il governo onusiano, e che dicono di prepararsi all’attacco per riprendere il controllo della città costiera sul golfo omonimo. Sirte è occupata dai nemici, ossia dall’Lna, la grande milizia che risponde agli ordini militari del signore della guerra Khalifa Haftar.

Al di là del suo valore simbolico (fu la città della caduta di Gheddafi, e cinque anni più tardi le milizie tripoline che adesso combattono Haftar la liberarono dall’occupazione dei baghdadisti), Sirte ha un valore tattico-territoriale: apre la strada alla Mezzaluna petrolifera, cuore dell’economia del Paese, più a est/sudest. In più su Sirte c’è una linea rossa alzata recentemente dall’Egitto (sostenitore di Haftar e confinante interessato della Cirenaica) contro la Turchia (sponsor politico-militare del Gna).

Un attacco potrebbe scatenare la rappresaglia egiziana. Dunque, sebbene la propaganda del Cairo sia spesso sparata, il tema è delicato. A maggior ragione se si considera che ieri uno o più droni turchi hanno colpito attorno alla base di al Jufra, qualche centinaio di chilometri a sud di Sirte. Al Jufra, oltre a essere un’altra linea rossa tracciata dall’Egitto, è un’installazione che ospita caccia russi (e forse UAV emiratini), nonché contractor militari della Wagner (la società privata che il Cremlino usa per il lavoro sporco ibrido in teatri delicati). Tre di loro sarebbero rimasti uccisi sotto i colpi turchi, che hanno centrato una batteria anti-aerea Pantsir (i sistemi sono stati già più volte oggetto dei missili di Ankara). Impossibile, infine, non collegare il raid turco di ieri all’attacco aereo su al Watiya, base a ovest di Tripoli in cui la Turchia starebbe strutturando una presenza fissa; in quel caso, pochi giorni fa, furono gli emiratini a colpire. Il cessate il fuoco rischia di finire presto.

(Foto: Wikipedia, un drone turco Akinci)

 



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