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Al centro del Mediterraneo

ANTEPRIMA
La domanda per chi si dedica alla politica estera non può che essere questa: riuscirà l’Italia a ritagliarsi un ruolo nei nuovi scenari e a mantenere la sua posizione di preminenza? Abbiamo scelto di stare dalla parte giusta della storia, senza però tralasciare la necessità di difendere i nostri legittimi interessi economici ed energetici. Difenderli dagli appetiti degli altri, ma anche dagli effetti di trasformazioni economiche che minacciano di ridurre gli spazi di libero mercato. Vorrei però andare oltre e illustrare perché credo che l’Italia non possa limitarsi a difendere ma debba invece mettere in atto una strategia offensiva per orientare gli sviluppi futuri della regione. È utile pensare alla geopolitica mediterranea come ad una geometria a cerchi concentrici.
 
Nei rapporti con il Maghreb, primo cerchio, la nostra principale leva è quella europea. Una politica di vicinato dotata delle risorse necessarie per il fronte meridionale, nuovi strumenti per favorire la formazione e la mobilità degli studenti, l’accelerazione degli accordi commerciali volti a creare lavoro. Sono queste le leve per dare al nuovo Mediterraneo un’impronta europea. Il secondo cerchio è quello allargato ai Paesi del Medio Oriente. Il Mediterraneo inteso quindi come bacino culturale – cui anche l’islam appartiene a pieno titolo – che esprime una forte domanda di dialogo interculturale e interreligioso. Noi possiamo soddisfarla, forti della tolleranza e dell’apertura mentale con cui abbiamo saputo stabilire solidi legami di amicizia nella regione. Siamo da sempre il più convinto partner dell’ingresso della Turchia nell’Ue e il fascino che Ankara esercita sulle nuove leadership arabe conferma la lungimiranza delle nostre tesi. Siamo il miglior amico di Israele, baluardo della democrazia nella regione. Da ambasciatore a Tel Aviv e poi a Washington, ho seguito da vicino la tessitura intelligente di un rapporto di collaborazione intensa, che non ha scalfito il legame di amicizia con i palestinesi e il mondo arabo. Esiste, infine un terzo cerchio, il più esterno, che abbraccia le forze estranee alla regione, ma capaci di condizionarne i destini: gli Usa, la Russia, l’India e, soprattutto, la Cina.
 
Si è detto che il G2 avrebbe emarginato le medie potenze, ma il G2 è tramontato prima ancora di vedere l’alba. Si è detto che il G20 avrebbe rimpiazzato un G8 ormai vetusto, ma proprio la Primavera araba ha riportato in auge il gruppo, che ha nel rispetto dei valori democratici una delle sue fondamenta. Si è detto che il baricentro del mondo si è spostato in Asia, ma proprio l’interesse cinese per il Mediterraneo può conferirgli una nuova centralità. Va visto, quindi, come una grande opportunità.
 
Sono illuminanti le riflessioni di Valori, grande esperto di Cina, sulla direttrice Pechino-Mediterraneo, funzionale alla penetrazione del gigante asiatico in Africa, e sugli interrogativi che la presenza cinese solleva.
L’Italia può essere un fattore di equilibrio che, agendo dall’interno della Ue, smussi gli angoli di questa presenza ingombrante, facendo leva sulla nostra volontà di avvicinarci a Pechino con un atteggiamento di rispetto, fiducia e curiosità. La stessa che in passato animò gli “spiriti indomiti” dei nostri esploratori, come li definì il presidente Napolitano in visita a Pechino lo scorso anno. L’Ue e la Cina condividono l’esperienza della crescita attraverso la pace. Non è poco come terreno di convergenza. Braudel diceva che il Mediterraneo è “un’immagine coerente, un sistema in cui tutto si fonde e si ricompone in un’unità originale”. L’identità futura del Mediterraneo sarà diversa da quella attuale e potrà certamente avvalersi dei contributi di Paesi che, pur non essendo rivieraschi, si affacciano da lontano sulle straordinarie opportunità di questa regione.


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