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Toc toc! Torna la questione settentrionale. Il corsivo di Arditti

Mentre il governo conclude la kermesse degli Stati Generali, avanza a grandi passi nella politica italiana un tema di grande rilevanza, accantonato nei mesi del lockdown ma destinato ad esplodere nell’autunno economicamente più difficile della storia della Repubblica, cioè il prossimo.

Il tema ha un titolo preciso, cioè “Questione Settentrionale”, uno svolgimento tutto da conoscere e dei protagonisti solo in parte noti al momento.

Cominciamo dal titolo (e quindi dal tema), perché è di tutta evidenza che questa sarà la questione più scottante per l’intera nazione. Dalla fine della Prima Repubblica a oggi il nord ha contato moltissimo, soprattutto a destra.

È infatti profondamente, intimamente “nordista” la storia di Silvio Berlusconi e di Umberto Bossi, cioè i due uomini che hanno contato di più da quelle parti tra il 1994 e il 2013, al punto che (non casualmente) per superarne in via definitiva la stagione viene chiamato a guidare il governo il presidente della Bocconi Mario Monti. Ma è, tutto sommato, “padana” anche la storia del bolognese Romano Prodi, incrocio di tutti i movimenti che contano a sinistra dal 1995 al 2008 (e forse anche oltre).

Insomma il nord ha contato e, per molti versi, dominato nella Seconda Repubblica, tanto è vero che le istanze di autonomia regionale hanno avuto grande spazio sotto il profilo politico, legislativo e costituzionale. Siccome però il nord è innanzitutto il motore dell’economia nazionale, ecco che nell’Italia post pandemia da lì si dovrà ripartire, a meno che si decida di uscire definitivamente dalla “squadra” dei Paesi industriali per entrare in quella senza vocazione alcuna, tipo Argentina (per capirci).

Ed eccoci quindi allo svolgimento, che per il momento resta non solo ignoto a tutti ma anche condizionato da segnali poco incoraggianti, compresi gli Stati Generali a Villa Pamphili, luogo meravigliosamente simbolico di un’Italia con lo sguardo al passato che cerca di arrancare nel futuro aggrappandosi alla sua bellezza e non a uno straccio di progetto strategico (con buona pace del Piano Colao).

Qui dobbiamo dirci la verità con franchezza, pena il fatto di svegliarci l’anno prossimo in condizioni ancora più precarie sotto ogni profilo. La pandemia dell’anno in corso sta rimescolando le carte da gioco del mondo intero e nessuno si troverà in futuro nella stessa posizione di prima.

In ballo c’è la competitività di ogni sistema nazionale, in ballo c’è l’esistenza stessa dell’Europa e della sua atipica moneta, in ballo c’è la supremazia planetaria nel secondo quarto del secolo, in ballo c’è la sopravvivenza dei regimi democratici assediati dalle oligarchie plebiscitarie che dominano in Asia, in Africa e nel Medio Oriente.

Sotto questo profilo l’Italia rischia più di altri, perché ha sulle spalle ataviche debolezze (debito pubblico, divario nord/sud, burocrazia micidiale, giustizia lenta) che possono costarci moltissimo: ecco perché la stagione che sta per aprirsi è per noi decisiva.

Veniamo allora ai protagonisti, anche perché alcuni di loro hanno preso la parola proprio in queste ore.

Cominciamo da destra, dove Salvini e Meloni hanno grande forza elettorale e solido controllo dei loro partiti, questo va detto perché è vero. Però sono espressione di un tipo di leadership totalmente diversa da quella del Cavaliere e dell’Umberto: il loro legame (anche sentimentale) con il nord è assai più flebile e politicamente meno rilevante per la loro azione politica.

Poi c’è l’area di governo, che attualmente è dominata da figure che con il nord hanno ben poco a che fare per storia personale e inclinazioni culturali. Basti considerare che sono (siciliano il primo, campano il secondo e pugliese il terzo) meridionali la prima, la terza e la quarta carica dello Stato, con l’aggiunta della comune formazione giuridica del Presidente della Repubblica e del primo ministro.

Sono poi espressione dell’ambiente politico romano il presidente del Parlamento europeo David Sassoli (pur fiorentino di nascita), il commissario europeo Paolo Gentiloni, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, così come il segretario del Pd Nicola Zingaretti, mentre è del tutto a trazione meridionale la leadership del M5S, con evidente preminenza del campano Luigi Di Maio e del siciliano Alfonso Bonafede (con all’opposizione il romano Alessandro Di Battista).

Ebbene, cosa produce tutto ciò?

Produce che sul lato opposto al governo la bandiera del nord che produce l’ha presa da qualche mese il presidente di Confindustria Carlo Bonomi (già alla guida di Assolombarda), anche alla luce del fatto che il governatore del Veneto Luca Zaia si premura di farci sapere un giorno sì e l’altro pure che lui sta bene dove si trova.

Mentre invece sul fronte Pd-M5S produce (proprio in queste ore) due uscite molto interessanti e convergenti, cioè quella del sindaco di Bergamo Giorgio Gori che contesta a Zingaretti un deficit d’iniziativa e quella del sindaco di Milano Sala che reclama un rapido ritorno al lavoro “normale”, volendo così introdurre “a bomba” l’attualità economica nell’agenda nazionale.

L’autunno sarà roba di numeri, statistiche, calo del Pil, posti lavoro (persi), imprese (che rischiano di chiudere), agenzia di rating.

Tutta roba che si gioca al nord, al massimo compresa l’Emilia di Stefano Bonaccini.

Chi non lo capisce resta indietro.



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