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Perché Conte è la salvezza dei Cinque Stelle (e viceversa). Parla Piepoli

Qualcuno nel Movimento Cinque Stelle dovrebbe ascoltarlo, Nicola Piepoli. Il decano dei sondaggisti italiani non ha dubbi: la linea Dibba non funziona, quella Grillo sì. “Non perché io sia un grillino – si affretta a puntualizzare a Formiche.net – ma perché Grillo, in questo momento, ha dimostrato intelligenza politica. Non ha ragione, ha scelto la via della ragione”.

Sotto la lente del presidente dell’omonimo istituto c’è il marasma interno al Movimento, fra scissioni minacciate, ventilate, poi negate ma che continuano ad aleggiare. Le squadre ormai sono chiare.

Da una parte c’è Giuseppe Conte, il premier-avvocato che i retroscena di palazzo descrivono in bilico fra la tentazione di imbracciare lo scettro del partito grillino e quella di restare super-partes, magari ambendo a cariche più patinate. Con lui c’è Grillo, il guru-garante che va mettendo in mora i parlamentari solleticati dalle istanze scissioniste al motto “o Conte o a casa”. Dall’altra Alessandro Di Battista, giovane leader un po’ pasdaran, bandiera del movimentismo duro e puro che continua a picconare la maggioranza giallorossa, con la tacita approvazione, sembra, di Davide Casaleggio.

Piepoli non ha dubbi: la partita è decisa anche prima del fischio di inizio. “L’unica linea che premierebbe i Cinque Stelle è un’alleanza con Conte, che ne diventa il leader. Se così fosse, il Movimento potrebbe recuperare 10, forse anche 15 punti percentuali nei sondaggi. L’alternativa è imboccare la strada delle divisioni”.

Più che di un’alleanza, il premier e il Movimento che lo ha portato a Palazzo Chigi hanno bisogno di una simbiosi, dice Piepoli. Sì perché neanche lui, Conte, può fare a meno dei pentastellati. “Non è lui una ciambella di salvataggio, è un rapporto reciproco. Il Movimento è l’unica chance per Conte di sopravvivere come entità politica, non ha seguito”. E allora, gli chiediamo un po’ stupiti, il partito del premier di cui tutti parlano? “Non e-si-ste – scandisce lui – il partito di Conte non esiste, il M5S sì, e due anni fa ha preso il 33% dei voti, cioè è stato votato da un italiano su tre”. Poi snocciola numeri impietosi: “Oggi il 15% degli italiani dice che voterebbe Conte? Se il premier fa un partito raccoglie il 2-3%. Quanto basta per rosicchiare dalle altre forze politiche”.

Come si spiega dunque l’altro gradimento del premier, la sua popolarità? “Si spiegano perché gli italiani hanno paura del futuro, cercano un uomo forte, non un partito – dice Piepoli – la fiducia in Conte è notevole, intorno al 60%, non si crea in un giorno. Ha più fiducia di Scalfaro, che si aggirava fra il 53 e il 56%, meno di Ciampi, che sfiorava il 90%”.

Se Conte, come dice Piepoli, è un toccasana per il M5S, non è chiaro se lo stesso valga per il Pd. Al Nazareno non mancano mal di pancia sul protagonismo del premier, e c’è anche chi ha un piano B. Eppure la convivenza al governo, sondaggi alla mano, non fa male a questo Pd, che si aggira intorno al 20%, ormai da un po’ di mesi. “Sembrava dovesse scendere al 17-16%, invece rimane lì. Questo partito, con varie denominazioni, ha oscillato tra un minimo del 20% e un massimo del 35% dal 1945 ad oggi. Adesso me ne trovi un altro che ha fatto lo stesso”. In un’immagine, il Pd di Nicola Zingaretti ricorda “i D’Orange, gli storici regnanti d’Olanda: il loro motto era Je mantiens, io mantengo”.

Il grande stallo dei sondaggi non può durare all’infinito, mette però in guardia Piepoli. “Io l’economia l’ho studiata, bene. I Cinque Stelle devono capire che siamo in una società capitalista, quello che conta è il Pil. Pure Bob Kennedy, che era l’anima di sinistra del suo partito, teneva a mente il Pil. Abbiamo bisogno di 80 miliardi di investimenti nelle infrastrutture subito, a partire dal primo luglio, per generare 140 miliardi a dicembre. Se non lo facciamo, il -8,4% di Pil previsto, nel migliore dei casi, dal presidente Istat Blangiardo non lo colmiamo più”.



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