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Pd-M5S, la strana alleanza che non ha alternative. Parla il direttore Fontana

Piano con i piani. Dal suo osservatorio di via Solferino il direttore del Corriere della Sera Luciano Fontana nota un grande problema della politica italiana alle prese con la più grave crisi del secolo: la concretezza. Tanti discorsi, idee. Poche realizzabili. È anche questo il segno di una politica che più di tutto vuole affermare di esistere. Da Conte a Zingaretti, da Casaleggio a Di Battista, in casa rossogialla tutti hanno un piano. Non tutti possono metterlo in pratica.

Direttore, da Villa Pamphili esce solo un altro documento?

C’è un problema preliminare. Francamente penso che dieci giorni di incontri e discussioni in questo momento siano inutili. Noto inoltre che il governo ha incaricato per più di un mese un gruppo di lavoro presieduto da Colao con l’incarico di redigere un documento programmatico con un numero di proposte, troppe. Subito dopo, ha inaugurato un nuovo ciclo di dibattiti che si sovrappongono, e in parte contraddicono il lavoro della stessa commissione. Insomma, tante idee, poche saranno davvero realizzate. Un’operazione di immagine.

Tutto questo mentre uno dei due partner di governo è in piena crisi. Oggi esiste un solo Movimento Cinque Stelle?

Esistono sicuramente due progetti molto diversi nel Movimento. Uno, sponsorizzato dall’attuale premier e da Beppe Grillo, che, forte dei sondaggi, mira alla formazione di un polo progressista alternativo al centrodestra. Un altro è invece refrattario alle alleanze, attento alle sirene delle origini e su alcuni temi più in sintonia con la Lega. Questa interpretazione ha in Di Battista il suo portabandiera ma anche un seguito nei gruppi parlamentari e negli iscritti sulla piattaforma Rousseau, e, in seconda battuta, una tacita approvazione di Luigi Di Maio, che in questo frangente si giocherà la sua leadership del Movimento.

Poi c’è Davide Casaleggio, che il giorno di apertura degli Stati generali ha presentato il suo piano per la ripartenza.

Non si sentiva il bisogno di un altro piano. Il Paese ha bisogno di abbattere la burocrazia, di investimenti in infrastrutture, scuola, ricerca, erogare la Cassa integrazione. Non servono programmi irrealizzabili, ma 5-10 punti strategici al massimo, con le relative coperture e una tabella di marcia, nero su bianco.

Il tempismo peraltro non sembra casuale.

Lo abbiamo visto in questi giorni: Casaleggio non gioca nella stessa squadra di Conte. È in sintonia con Di Battista, un po’ meno con Di Maio, sempre meno con Grillo, e probabilmente si sente emarginato rispetto al ruolo centrale che la Casaleggio Associati ha sempre avuto nella storia del Movimento.

Qual è invece il vero piano di Conte?

Mi sembra combattuto fra la tentazione di prendere in mano la leadership del Movimento, e quella di restare figura di coalizione, super partes.

Niente partito?

Viste le esperienze passate, gli suggerirei di lasciar perdere. Vedo in lui, in questo momento, una hybris, un’euforia che non ha portato fortuna ai suoi predecessori. Ha perso l’aspetto rassicurante che si era dato negli scorsi mesi, creare un partito non mi sembra una grande idea. Perfino Monti, un uomo dalle competenze non ordinarie, non è riuscito a crearne uno che rimanesse in piedi.

Intanto fra i dem cresce l’insofferenza verso il premier. Perché?

Credo che il Pd voglia ricondurre l’alleanza al disegno delle origini. Quello cioè di una sostanziale egemonia sui Cinque Stelle di un partito molto più strutturato, e con qualche competenza in più.

Ci riuscirà?

Conte si frappone sulla strada di questo piano. La sua interpretazione dell’alleanza, il suo protagonismo sono una battuta d’arresto per il disegno del Nazareno. Ma la verità è che sia lui che il Pd hanno poche cartucce in mano, e non hanno altra scelta che coltivare un progetto politico assieme. L’alternativa è consegnare la vittoria a un centrodestra che, seppure in calo, è ancora alla finestra.



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