Il ritiro di circa 10mila uomini (e donne) dalle basi militari Usa in Germania è l’Isola che non c’è di Edoardo Bennato: non è un’invenzione, ma ti prendono in giro se continui a cercarla. Il ritiro è un’incognita, le reazioni no: aperto dissenso di autorevoli militari americani; contrarietà bipartisan in Congresso; malcelate preoccupazioni tedesche; improvvido farsi avanti polacco; imbarazzato silenzio della Nato; scena muta russa. Perché, a differenza dell’isola che non c’è, la prospettiva del ritiro è da prendere sul serio.
La notizia l’hanno data i giornali americani. Veritiera, sebbene a tutt’oggi non ci sia ancora comunicazione né alla Germania né alla Nato. A Washington diplomatici e giornalisti si sono precipitati a cercarne conferma. L’hanno avuta: la decisione della Casa Bianca è presa, sta al (riluttante) Pentagono tradurla in “opzioni” per attuarla. Come, quando e dove andranno?
I tempi non saranno brevi. La Casa Bianca può avere fretta per calcoli elettorali – a West Point il Presidente ha appena ripetuto che gli Stati uniti non vogliono fare il poliziotto del mondo. Incontrerà le resistenze passive dei militari, già in dialettica senza precedenti istituzionali con l’amministrazione targata Donald Trump, e quelle attive del Congresso. Se ci sono spese – e ci saranno – andranno autorizzate. Ventilato entro tre mesi il ritiro potrebbe ben andare oltre il voto del 3 novembre. Il che non impedirebbe al Presidente di farsene gioco in campagna.
Dal punto di vista italiano e europeo, bene tenersi alla larga dai risvolti elettorali della vicenda, ma legittime le preoccupazioni sul “dove andranno”. La direttiva impartita dal Presidente è di dimezzare a 25mila il tetto di truppe americane in Germania fra fisse e di passaggio. L’attuale tetto è di 50mila, quelle stazionate stabilmente 34.764. La riduzione a 25mila comporterebbe pertanto la rimozione di 9.700, più un vincolo rigido per futuri transiti. Queste truppe potrebbero essere richiamate negli Stati Uniti, ridispiegate sul teatro europeo-mediterraneo o metà e metà, con conseguenze strategiche e politiche diversissime.
Il rientro a casa darebbe un forte segnale di distacco degli Stati Uniti dalla sicurezza europea e dallo scacchiere mediterraneo-mediorientale. Diecimila sono circa il doppio del dispositivo (“Enhanced Forward Presence”) Nato sulle frontiere con la Russia, varato dopo l’annessione della Crimea e la crisi ucraina del 2014, a rotazione e con la partecipazione di tutti gli Alleati, Italia compresa. Nello scenario di ritorno in Usa ci sarebbe poco da aggiungere al commento del Generale americano Ben Hodges, ex-capo dell’Esercito americano in Europa: una riduzione di quasi un terzo (28%) delle capacità militari statunitensi in Europa, chiave di volta della deterrenza Nato, è un regalo alla Russia che il Cremlino non ha fatto nulla per meritare. Perdenti, invece, l’Europa e l’Alleanza Atlantica.
Un ridispiegamento in Europa confermerebbe innanzitutto il pessimo stato dei rapporti tedesco-americani nell’era Trump. Dalla sfera economico-commerciale, con ricorrenti minacce di nuovi dazi, le frizioni si sono allargate anche in materia di sicurezza. Nella sua suprema cautela, Angela Merkel tradisce frustrazione. Si parla spesso della “relazione speciale” Usa-Uk, ma quella Usa-Germania è stata l’asse portante della sicurezza europea dal 1949 ad oggi. Spostare un terzo delle truppe altrove in Europa lo incrinerebbe. Nell’incertezza Berlino ha scelto di minimizzare la reazione e di guardarsi dall’aprire una polemica su quella che rimane un’incognita.
La Polonia si è invece precipitata ad offrire ospitalità. Convinta che una presenza militare americana stabile sul proprio territorio sia la definitiva contro-assicurazione nei confronti della Russia, Varsavia da tempo corteggia Washington col “Fort Trump” polacco. In questo caso però il ritiro dalla Germania diventerebbe non un regalo ma un dito nell’occhio alla Russia. Mosca avrebbe dalla sua il Founding Act Nato-Russia del 1997 che esclude il “permanente stazionamento di consistenti truppe in assetto bellico” sul versante Est. Ma soprattutto risponderebbe pan per focaccia col vantaggio territoriale del forno a portata di mano.
Se invece l’intenzione americana fosse di spostare le truppe dalla Germania verso il versante Sud-Est, cioè per operazioni in Mediterraneo e Medio Oriente, la prospettiva interesserebbe direttamente l’Italia. Uno spostamento, totale o parziale, dal centro al Sud del perimetro Nato non innalzerebbe inutilmente le tensioni con la Russia, mantenendo il livello di deterrenza attuale – le truppe rimarrebbero in Europa – e rafforzerebbe la sicurezza sul fronte Sud, cosa l’Italia chiede da tempo alla Nato ed ha in buona parte ottenuto con il concetto di “Nato a 360°”. Saggiamente Roma si è astenuta da offerte premature ma segue attentamente gli sviluppi della partita in corso fra Casa Bianca, Pentagono e Congresso. Esito e ricadute saranno importanti per l’Italia e per la Nato. Occorre rimanere sulla palla.