I battenti della giustizia sono ancora chiusi, l’arretrato era patologico già prima, la lentezza già da lustri cancella ogni ipotesi che “giustizia” sia un concetto, un valore, oltre che un’amministrazione fallimentare, tutto ciò non le impedisce di bussare a Palazzo Chigi e interrogare il presidente del Consiglio. Ancora si discute su come contabilizzare i morti e già si prova a metterli sul conto di qualcuno.
Le inchieste giudiziarie saranno diverse, se ancora esiste la competenza territoriale. In tutto il (nostro) mondo colpito i decessi sono stati numerosi nelle residenze per anziani, ma è rilevante stabilire, caso per caso, come il contagio vi abbia fatto ingresso. Ci sono cittadini che hanno la legittima titolarità per chiederlo e diversi lo hanno già fatto. Se il contagio è arrivato dopo una decisione amministrativa, circa la distribuzione dei ricoveri, vi sarà una responsabilità di cui rispondere. Quale e in che termini è faccenda che riguarda, appunto, il procedimento penale.
Meno definiti i contorni circa la responsabilità relativa ai tempi in cui sono state individuate e attivate le zone rosse, per poi giungere alle chiusure generalizzate. Meno definiti per due ragioni: a. errori sono stati commessi ovunque (in Francia, infatti, inchieste analoghe sono già avviate), il che non scusa, ma aiuta a capire; b. il nostro è un Paese in cui tutti hanno un potere e nessuno responsabilità.
Il virus dovrebbe aver chiarito che tutto intero il capitolo delle autonomie locali deve essere riscritto, a cominciare dalla sventurata riforma costituzionale del 2001. Certo non è in un dibattimento penale che la faccenda sarà risolta. Posto ciò, sta di fatto che il governo, a fine gennaio, ha avocato a sé tutti i poteri, proceduto con atti amministrativi non sottoposti al vaglio del Parlamento e tenuto conferenze stampa a raffica. Sarà complicato sostenere che il fatto e il non fatto competesse ad altri. Aiuteranno le conferenze stampa altrui, in cui i presidenti di Regione e i loro assessori e discendenti parlavano ciascuno come fossero essi a prendere decisioni e stabilire indirizzi. Sarà arduo sostenere stessero scherzando, visto il tema.
Ma resta il punto da cui siamo partiti, che illustra il paradosso: se non funziona la giustizia restano solo le inchieste, aumentando il tasso di avvelenamento morale e dissolvimento culturale, sicché il circo dell’informazione chiamerà “giustizia” l’accusa e i tribunali centellineranno nei secoli il raggiungimento di qualche cosa che alla giustizia somigli. Questa si che è una colpa del governo, questa sì che è una responsabilità del legislatore e del governante, ma a fargliela osservare dovrebbe essere un sistema dell’informazione corresponsabile dell’imbastardimento e un’opposizione complice del disfacimento.
C’è una sola cosa peggiore dei magistrati che si mettono a far politica: i politici che pensano d’usare le inchieste dei magistrati. Dubito che i morti avranno giustizia da una giustizia che ha seppellito sé medesima.