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Ritiro Usa dalla Germania? Ecco cosa (non) dice il governo di Angela Merkel

La Germania non vuole (né crede) che gli Stati Uniti riducano la presenza militare dal territorio tedesco. È quanto emerge dalle parole dei membri dell’esecutivo guidato dalla cancelliera Angela Merkel, dal ministro della Difesa Annegret Kramp-Karrenbauer, al ministro degli Esteri Heiko Maas, a cui si aggiungono i commenti di esperti raccolti, tra gli altri, da Der Spiegel e Deutsche Welle. Si riferiscono tutti alle indiscrezioni del Wall Street Journal e di Reuters circa il piano Usa per ridurre, entro settembre, la presenza in Germania da 34.500 unità a 25.500, indiscrezioni commentate su queste colonne dai generali Marco Bertolini (qui) e Vincenzo Camporini (qui).

I MESSAGGI POLITICI

Di base, ci sono le parole di Steffen Seibert, portavoce del governo tedesco, che ha parlato di “resoconti dei mezzi di informazione non confermati, su cui il governo tedesco non intende commentare, anche perché da Washington non sono giunte comunicazioni ufficiali. Sulla stessa linea il vertice della Difesa tedesca, Akk, che ha rifiutato di commentare “ciò di cui non ho conferma”.

Non mancano però i messaggi dall’alto valore politico. La Kramp-Karrenbauer ha definito la presenza dei militari americani in Germania “un servizio alla sicurezza generale della Nato, compresa la sicurezza degli Stati Uniti”, la base su cui Berlino e Washington “lavorano insieme”.

Gli ha fatto eco il dicastero degli Esteri rilanciando le dichiarazioni del ministro Heiko Maas, per cui l’Alleanza Atlantica è “la polizza assicurativa sulla vita dell’Europa”. In più, ha aggiunto, “siamo in contatto con gli Stati Uniti a vari livelli per tutte le questioni che riguardano la nostra sicurezza comune”. Per il ministero della Difesa, i militari americani “si sono sentiti a proprio agio in Germania e ciò proseguirà in futuro”.

LE RASSICURAZIONI DI AKK

I messaggi confermano che, nonostante le frizioni, sui temi militari l’obiettivo di Berlino è evitare la rottura con Washington. Lo scorso 11 maggio, in occasione dell’anniversario dell’adesione della Germania alla Nato, la ministra Akk ha affidato al Financial Times un lungo editoriale. Vi si legge l’intenzione di Berlino di un maggiore posizionamento nei contesti euro-atlantici, superando le strigliate degli Stati Uniti sul nodo del budget (il fatidico 2%) e adottando un atteggiamento proattivo sul ragionamento relativo al futuro della Nato (spingendo il concetto della “resilienza”). Non sembra un caso che alla presidenza del gruppo di esperti che supporteranno il segretario generale Jens Stoltenberg nella riflessione strategica sull’Alleanza ci sia (insieme all’americano Wess Mitchell) il tedesco Thomas de Maizière, politico della Cdu al vertice dell’Interno per due volte con Angel Merkel e ministro della Difesa prima dei sei anni di Ursula von der Leyen.

LE RAGIONI DI FRIZIONE

Certo, restano diversi i dossier di attrito tra Berlino e Washington. Anche senza andare oltre il campo della Difesa (nel caso, si dovrebbero ricordare il Nord Stream 2, il dossier commerciale, le diverse visioni sul rapporto con la Cina fino alla recente polemica sul G7), le frizioni sono molteplici. Al suddetto nodo del 2% del Pil in ambito Nato, si aggiungono le discussioni delle ultime settimane sulla partecipazione tedesca alla dissuasione nucleare della Nato. Nonostante le rassicurazioni della ministra Kramp-Karrenbauer, si sono fatte sentire le rinnovate insofferenze dei socialdemocratici dell’Spd all’interno della Grosse Koalition guidata dalla cancelliera Merkel. Un tema che si intreccia al complesso dibattito sulla sostituzione dei Tornado per la Luftwaffe. Dopo la rumorosa esclusione dell’F-35 dalla gara, la scelta del dicastero tedesco della Difesa per un mix tra i Super Hornet di Boeign e gli Eurofighter non ha soddisfatto nessuno.

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