La mappa dei movimenti dentro la maggioranza alla vigilia della Fase tre, la danno le voci che circolano tra i partiti della coalizione di governo, ma anche nei sindacati e nelle associazioni di imprese. I ministri Pd ora frenano sugli Stati generali, ma già da tempo hanno dato segni di insofferenza sempre più espliciti verso il premier Giuseppe Conte accusato di immobilismo sui temi economici, in politica industriale e sull’Europa.
Disorientati dalla distanza tra le enunciazioni e i fatti concreti. In particolare la non scelta sulla nuova linea di prestito del Mes, ma anche l’assenza di una strategia sull’ex Ilva di Taranto. La posizione dei dem è stata chiarita da una videochat tra il segretario Nicola Zingaretti, il vice segretario Orlando e capigruppo e alcuni ministri che si è tenuta il 6 giugno, due giorni dopo l’intervista nella quale lo stesso leader Pd si è speso a favore del Mes.
Il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, dopo settimane in silenzio, aveva già rotto il silenzio schierandosi a favore dell’adesione al prestito da 36 miliardi di euro per le spese sanitarie dirette e indirette. Il viceministro Antonio Misiani interviene ormai quotidianamente in difesa del Meccanismo europeo di stabilità. Da via XX settembre, fatta eccezione per il viceministro Laura Castelli, da tempo filtra insofferenza verso il premier. Avvisaglie di un mutamento di linea che ha due spiegazioni.
La prima è strettamente economica. Se nella fase dell’emergenza una maggioranza con i Cinque Stelle primi azionisti poteva andare bene, ora che il tema diventa la ripresa, la crescita e la competitività, la compagnia di una forza politica sempre tentata da un ritorno alle origini movimentiste diventa complicata.
Lo ha detto in chiaro Tommaso Nannicini, economista Pd, secondo il quale a questo punto il M5S non deve essere un alleato inevitabile e che per il Pd è arrivato il tempo di coltivare proposte proprie.
C’è poi l’imbarazzo con l’Europa. Il Pd a Bruxelles conta due figure di primo piano – il commissario agli Affari economici Paolo Gentiloni e il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Alcune aperture importanti sul piano di risposta al coronavirus, in particolare le dimensioni del Recovery plan disegnato dalla Commissione Ue, portano la firma dell’ex premier democratico. Un successo diplomatico che il Pd non è riuscito a replicare in patria visto che sul Mes il premier anche in queste ore sembra cercare una soluzione che accontenti il M5s più che l’ala europeista della maggioranza. Si parla, ad esempio, di altre emissioni di debito pubblico, protette dall’ombrello della Bce, per finanziare le stesse spese sanitarie che potrebbero essere coperte con la nuova line di prestito del Mes.
La seconda è più politica. L’intenzione del premier Giuseppe Conte di non perdere il controllo della fase post emergenza è chiara. Ed è anche noto quanto l’avvocato del popolo negli ultimi mesi si sia appoggiato soprattutto al Pd. Se il primo partito della sinistra intenda permetterglielo è tutta un’altra storia. A prendere le distanze dal premier Conte sugli Stati generali è stato il ministro Dario Franceschini. Nella riunione con i capidelegazione di venerdì 6 giugno ha chiesto conto al premier di una iniziativa non concordata. È proprio l’ala del Pd più vicina a Franceschini, più che l’entourage del segretario Zingaretti, a non accettare un assegno in bianco al premier Conte nella gestione della fase di ricostruzione post pandemia.
Vanno letti in questo senso gli appelli filtrati da ambienti Pd a trasformare gli Stati generali in una consultazione che coinvolga “tutte le forze politiche disponibili”. Un modo per depotenziare l’appuntamento, con l’obiettivo di riprendere il controllo dell’agenda delle politiche economiche.